E' ARRIVATO L'INVERNO!!...

venerdì 31 ottobre 2008

Viaggio inconsueto

un treno a vapore


Iniziativa non-profit: servirà
a raccogliere fondi destinati
alla ricerca. Un'occasione unica
per provare un viaggio inconsueto
TORINO
La Fondazione di Ricerca in Medicina Sperimentale (FIRMS) e il Museo Ferroviario Piemontese (MFP) organizzano “Un Treno a Vapore contro i Tumori”, un’iniziativa non-profit volta alla raccolta di fondi per la ricerca in genetica e oncologia. La quinta edizione si terrà sabato 1° Novembre con un treno rapido a vapore che collegherà Milano con Torino e che gli organizzatori hanno noleggiato da Trenitalia. L’iniziativa è svolta in collaborazione con GTT, Regione Piemonte e Gruppo Ferrovie dello Stato.

La partenza è prevista dalla Stazione Centrale di Milano alle 9.50 (binario 6) con arrivo alla Stazione di Torino Porta Nuova alle 12.15 (binario 19). Il treno viaggerà alla velocità massima di 100 km/h, con una fermata a Vercelli per il rifornimento di acqua nel tender (la macchina porta circa 6 tonnellate di carbone e 22 metri cubi di acqua).

La scelta della locomotiva a vapore per questo specifico convoglio è dettata dal fatto che è la migliore rappresentazione visiva e sonora della fatica dell’uomo, lo stadio immediatamente precedente il dolore e quindi la malattia. Siamo ormai giunti alla quinta edizione dell’iniziativa, che ha unito centri di ricerca medica nel Nord Italia: l’ultima volta il treno a vapore ha attraversato l’intero Nord, stavolta raggiungerà Torino per mostrare quanto fanno coloro che operano nel campo della sanità e quelli che “curano” vecchi treni.

Il treno verrà trainato dalla locomotiva a vapore 685.089, la più potente in servizio in Italia, che è stata costruita negli anni ’20. Il convoglio sarà formato da vetture storiche di I e II classe (ambientazione anni ’30-’40) e da una vettura che apparteneva al treno reale, divenuta poi presidenziale. La vettura è stata costruita a Torino negli anni ’20 e ha terminato la sua carriera come Vettura Salone di Stato.

All’arrivo a Torino, il convoglio incontrerà il treno storico del Museo Ferroviario Piemontese trainato dalla ultracentenaria locomotiva a vapore T3 e reduce da una tournée in Lombardia e Emilia-Romagna. Saranno presenti anche la locomotiva a vapore 640.148 e il locomotore elettrico E428.058 di Trenitalia, quest’ultimo curato dal gruppo Feralp di Bussoleno. Tutti questi rotabili saranno schierati sul binario 18. Dopo la cerimonia di benvenuto, i passeggeri verranno accolti dai tram storici guidati dai volontari dell’Associazione Torinese Tram Storici (ATTS) che accompagneranno i visitatori alla stazione della tranvia a dentiera Sassi-Superga dove sarà possibile pranzare. Nel pomeriggio ci saranno giri gratuiti della città sempre a bordo dei tram storici e si potrà visitare una mostra di modelli ferroviari dell’Associazione Arcamodellismo. La partenza da Torino è prevista per le 16.45 con arrivo a Milano alle ore 19.00.

Il biglietto costa 60 € e comprende il viaggio di andata e ritorno. I bambini con meno di 4 anni e le persone con più di 75 anni sono ospiti. Il pranzo alla stazione GTT della cremagliera Sassi – Superga ha un costo aggiuntivo di 15 €. Tutti i proventi dell’iniziativa verranno devoluti alle ricerche in oncologia medica.

Per ulteriori informazioni, contattare il Museo Ferroviario Piemontese (telefono 011.432.3200) o gli indirizzi amministrazione@museoferroviariopiemontese.com , marzia.roccia@unito.it , a cui sarà possibile richiedere l’acquisto dei biglietti, in vendita anche presso la biglietteria GTT presente alla Stazione di Porta Nuova.
I biglietti si possono acquistare anche a Milano rivolgendosi alle Agenzie Pandani (via G. Fara 13, 02 – 669.4541, info@padani.it ), alle stazioni Greco Pirelli, Certosa, Treviglio Ovest, Ponte San Pietro, Cologno e Locate Triulzi.

Fonte: La Stampa

giovedì 30 ottobre 2008

PROGETTO A.A.A. VOLONTARI CERCANSI


Il mondo del volontariato è una risorsa per il Servizio Sociale della Municipalità di Marghera, in grado di accogliere le difficoltà dei membri della comunità ed elaborare alcune delle necessarie strategie per affrontarle.
Anche quest'anno si è avviata la ricerca di volontari. Cerchiamo quindi cittadini per il supporto scolastico ed altre attività, con bambini e ragazzi.
Per queste attività di volontariato è anche previsto un riconoscimento dei crediti formativi per gli studenti ed un percorso di formazione per tutti.

Per informazioni:
telefonare agli Educatori allo 041/924371 (sede: via Toffoli, 56)
oppure inviare una mail a educatori.marghera@comune.venezia.it.

Concorso Spighette Slacciate

x ragazzi dai 14 ai 20 anni

"Essere adolescenti a Venezia",

questo il titolo di un concorso cinematografico di cortometraggi aperto a partecipanti che abbiano dai 14 ai 20 anni realizzato con la collaborazione della Municipalità di Venezia.

Chiunque voglia partecipare è invitato a fare pervenire entro giovedì 30 novembre 2008 un proprio filmato anche di pochi minuti al laboratorio culturale BlobGiudecca presso il Cz95 Centro Culturale - Giudecca, 95

Come raggiungerci:
da Piazzale Roma - Ferrovia linee 4 e 41
da San Zaccaria linee 2 e 42 fermata Zitelle

Per informazioni o per inviare un smstel. 329.210.55.79

newsletter@comune.venezia.it

mercoledì 29 ottobre 2008

Torta di mele con carote



Ingredienti per 4 persone
- 3 uova intere
- 100 gr di olio extra vergine
- 150 gr di purea di carote
- 160 gr di farina
- 150 gr di zucchero
- 3 mele renette
- 1 bustina di lievito
- Lamponi o frutti di bosco
Preparazione
In una casseruola battere le uova con lo zucchero, aggiungere la purea di carote e olio extra vergine.
Una volta amalgamati gli ingredienti, aggiungere la farina nella quale è stato miscelato il lievito.
Privare le mele della buccia e tagliarle a spicchi.
Caramellare gli spicchi di mela con zucchero di canna in padella.
Versare il composto in una tortiera o in un piccolo stampino da monoporzione e adagiare le fette di mela
caramellate.
Cuocere in forno a 175° per 40 minuti.
Guarnizione
Posizionare il tortino su un piatto e guarnire con salsa ai lamponi o frutti di bosco.

Fonte: Rosanna Lambertucci

No alla difesa di privilegi

Questa volta lo hanno notato in molti. La protesta di studenti, genitori e insegnanti contro i provvedimenti del ministro Gelmini, al di là dei suoi contenuti specifici e delle ragioni, anche fondate, da cui muove, ha qualcosa di automatico e di ripetitivo che la fa somigliare troppo ad altre proteste del recente passato: in particolare a quella di una decina di anni fa contro le proposte di riforma del ministro Berlinguer (allora vivacemente contestate anche da destra), che miravano fra l'altro a introdurre criteri di valutazione meritocratica nella carriera di insegnanti e dirigenti scolastici. Il sospetto, insomma, è che il movimento di contestazione finisca con l'inglobare e col nascondere dietro più nobili motivazioni l'ennesimo episodio di resistenza di singoli segmenti della società contro qualsiasi provvedimento capace di modificare uno status quo fatto di abitudini consolidate e di piccoli e grandi privilegi.

Per entrare nello specifico, i professori universitari hanno buoni motivi per protestare contro i tagli che minacciano di affamare gli atenei e di bloccare il turn over nella docenza per gli anni a venire. Ne avrebbero di ancora migliori se abbandonassero per sempre la logica dei finanziamenti a pioggia e del posto garantito a vita anche a chi non ha nulla da insegnare e se facessero autocritica sul modo in cui hanno gestito, per quanto in loro potere, l'istituzione universitaria, moltiplicando scriteriatamente cattedre, corsi di laurea e (complici i politici) facoltà e atenei. In tutt'altro campo, i magistrati hanno ottime ragioni per rivendicare un ruolo non meramente impiegatizio (e dunque a non volersi sottoporre al passaggio per i tornelli o al timbro dei cartellini). Ma sarebbero più convincenti se riconoscessero una qualche loro responsabilità nel collasso della giustizia penale e civile e se accettassero di far dipendere le loro prospettive di carriera da un serio controllo di produttività.

Né il principio sacrosanto dell'autonomia dell'ordine giudiziario, né quello, pure inviolabile, della libertà di insegnamento possono essere invocati per difendere nicchie di privilegio e di inefficienza. Tanto più che sappiamo come ogni istituzione autocefala tenda a diventare inefficiente e corporativa in assenza di forti meccanismi di controllo interno o esterno, o, in alternativa, di una situazione di concorrenza. Il compito di far prevalere gli interessi generali sulle spinte corporative spetta, naturalmente, al ceto politico, che però spesso lo elude, o non lo esercita col dovuto coraggio, preferendo praticare un gioco di sponda con le singole categorie, magari per mettere in difficoltà gli avversari di turno. Donde i frequenti scambi di ruolo fra centro-destra e centro-sinistra a seconda della posizione occupata in questa o in quella legislatura. Si spiega anche così il fatto che a tenere in scacco la politica nazionale non siano solo le categorie forti, vuoi per il numero (è il caso del mondo della scuola), vuoi per il ruolo istituzionale (come la magistratura). Tassisti, farmacisti e notai sono categorie numericamente esigue, poca cosa comunque rispetto alla massa degli utenti dei servizi da loro prestati. Eppure hanno resistito con discreto successo ai reiterati tentativi di introdurre misure liberalizzatrici nei settori di loro competenza. Non sarebbero stati così forti se i politici dei due schieramenti maggiori avessero saputo far fronte comune almeno su pochi provvedimenti largamente condivisi, anziché vantare la bontà delle proprie ricette svalutando quelle degli avversari.

Il clima della presente legislatura non è certo il più adatto alle convergenze e ai provvedimenti bipartisan. Eppure uno sforzo speciale di modernizzazione e di riforma si impone urgentemente all'intera classe politica. In una situazione di difficoltà economica, in cui tutti saranno chiamati a sacrificare qualcosa, i cittadini chiedono sì maggior protezione allo Stato, ma sono anche meno disposti a tollerare la difesa, comunque motivata, di privilegi e diritti acquisiti.

Giovanni Sabbatucci ( docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma)

Fonte: Il Gazzettino




Back to life di Giovanni Allevi

lunedì 27 ottobre 2008


Educare, insegnare. Come una volta
di Alessandra Graziottin
Chi può negare che dalle nostre scuole si uscisse molto più preparati trent'anni fa? Il livello medio di istruzione all'uscita da elementari, medie, superiori e università è crollato. Che si tratti di scuole primarie, di istituti tecnici o di licei, la tendenza alla perdita di qualità è inesorabile. Reggono meglio i licei, solo perché i ragazzi hanno mediamente famiglie più istruite, per cui molte nozioni essenziali, tra cui l'uso decente dell'italiano e della capacità di pensare in modo strutturato, vengono appresi per osmosi familiare. La proliferazione del numero di insegnanti per classe, anche alle elementari, ha ridotto il senso di responsabilità che ogni insegnante aveva nei confronti della sua classe e dei suoi bambini.

L'aumentare il numero di classi per insegnante rende peraltro anche più difficile, per ammissione di molte, ricordare il nome stesso di tutti i piccoli. Ma se la maestra non si ricorda nemmeno i nomi, che senso di identità e di valore può trasmettere ai bambini che segue? L'aumento del numero di materie, che avrà certamente gratificato il narcisismo di qualche legislatore precedente, ha portato ad una minore attenzione alle materie fondamentali. L'uso dell'italiano è oggi mediamente penoso, per grammatica e sintassi, a meno che la famiglia non educhi in parallelo, e fin da piccoli, ad un uso appropriato del linguaggio. Oppure che qualche insegnante ancora appassionata/o del proprio lavoro non ci metta l'anima per trasmettere ai propri allievi il gusto della parola scelta con cura, per vestire ed esprimere in modo ineccepibile il proprio sentire. Non si tratta di essere fanatici dello stile, ma di qualcosa di molto più profondo: la parola è espressione del pensiero. Per parlare bene bisogna, prima ancora, pensare benissimo.Sulla matematica, poi, è meglio sorvolare. Con la complicità dell'uso delle calcolatrici, oggi molti bambini e adolescenti non sanno fare a mente nemmeno le operazioni più semplici.

E l'educazione? Osservate come si comportano molti ragazzi e ragazze, anche in classe. Quanto bullismo, quanta maleducazione, quanta arroganza, limpidamente ripresi dai telefonini sempre accesi (ma a scuola non dovevano restare spenti?). Bene, benissimo ha fatto il Ministro Gelmini a far riemergere dal passato il voto in condotta. E anche a riprendere il principio chiave secondo cui un basso voto nel comportamento comporta la bocciatura. Non aver acquisito i fondamentali del vivere civile di cui il comportamento scolastico è specchio e palestra giustamente deve essere stigmatizzato. Una cifra semplice, secca, sintetica, che traduca in modo indiscutibilmente chiaro come si comporti il bambino o l'adolescente a scuola. Bene la divisa, per ridare un minimo di decoro ad abbigliamenti variegati, dallo sciatto al provocante, più adeguati alle discoteche che non alla palestra della mente. Riprenderei l'ottima abitudine di alzarsi in classe e salutare, quando l'insegnante entra, come segno di rispetto per il ruolo, oltre che per la persona, come del resto ha richiesto il Presidente Sarkozy in Francia.E suggerirei al nostro coraggioso ministro di rilanciare il valore dell'apprendimento a memoria, dalle tabelline alle poesie. Questo tanto vituperato esercizio si basa su un principio fondamentale dell'apprendere: la ripetizione. Apri la mente a quel ch'io ti paleso/ e fermalvi entro; che non fa scienza/ senza lo ritenere, avere inteso. Questo lo diceva già Dante (Paradiso, canto V, vv. 40-42), in tempi non sospetti. Senza memoria non esiste alcuna altra facoltà intellettiva, né alcuna scienza. Ogni capacità si affina attraverso il consolidamento delle tracce di memoria: verbali, numeriche, musicali, uditive, visive, motorie, cenestesiche, e non solo cognitive. Lo sanno tutti coloro che riescono ad eccellere, anche nello sport e nella musica, per esempio. Quante ore di allenamento, quanti chilometri, quanti esercizi, quante ripetizioni di un gesto tecnico fa un atleta per arrivare ai vertici? E quante ore passa un musicista a suonare, prima di aver assimilato perfettamente uno spartito? Perché invece a scuola, dove si apprendono i fondamentali dell'istruzione, il principio della ripetizione viene così trascurato, banalizzato o addirittura deriso? Ripetere : dal latino re-petere, chiedere di nuovo, chiedere ancora, ci stimola dunque a richiedere. Anche alla propria mente, finché un concetto, ma anche una tabellina, non siano perfettamente appresi, sedimentati, consolidati, digeriti e fatti propri. Se fossi un insegnante d'italiano, o di altre lingue, farei con i miei alunni il gioco dei segreti delle parole, alla radice dell'ètimo, l'intimo significato di un termine: per appassionarli ad andare a fondo, alla ricerca delle radici del dire, grande metafora dell'educazione ad andare a fondo di ogni cosa. Ed incoraggerei i genitori, o i nonni, ad ascoltare figli e nipoti mentre ripetono le lezioni a casa, a voce alta. Questo esercizio educa il bambino e l'adolescente a concentrarsi sull'essenziale, a verificare in concreto quanto la ripetizione di un concetto sia stata sufficiente o meno, quanto l'espressione verbale sia adeguata. Lo educa ad ascoltarsi. E, in un mondo della comunicazione come il nostro, questa palestra diventa uno strumento vincente per la vita.Se mi esprimo discretamente, per esempio, è anche merito della nonna che mi ha ascoltata mentre ripetevo le lezioni, fino alla terza liceo. E mi ricordo ancora i suoi pacati ma fermi:No, non la sai ancora bene, accanto ai così gratificanti:sì, questo l'hai proprio imparato benissimo. Il suo sorriso affettuoso e il suo sguardo soddisfatto erano una ricompensa emotiva formidabile. E il principio della ricompensa - emotiva e fisica, prima ancora che economica- è fratello gemello del principio di ripetizione, negli animali come negli umani. Ecco allora che genitori e nonni potrebbero ridiventare dinamici co-allenatori della capacità di figli e nipoti di imparare e di esprimersi in modo sempre più stringente e appassionante. Non come obbligo, ma come gusto di assaporare insieme un dialogo esclusivo. Non c'è nulla di più esaltante, ad ogni età, di essere ascoltati con attenzione e affetto, senza tempo, anche nelle lezioni. E molto disamore allo studio nasce oggi dalla tremenda solitudine in cui molti bambini e adolescenti passano i loro pomeriggi.La nostra scuola era una delle migliori del mondo. E'stata saccheggiata da una molteplicità di interventi, che a torto si sono fregiati di slogan seducenti, quali innovare, rivoluzionare, modernizzare, rendere creativi, divertirsi, diversificare. E' tempo di tornare alle regole fondamentali dell'apprendere: il principio di ripetizione, di ricompensa, l'attenzione, la concentrazione, il silenzio, di cui è alleata indispensabile una buona condotta. Regole confermate anche dai più recenti studi di neurobiologia, etologia e psicologia.

Anche per questo fa bene il ministro Gelmini a continuare per la sua strada migliorativa della nostra scuola, nonostante attacchi, insulti e vituperi. Mostra al contempo coraggio e capacità di resistenza a quel perniciosissimo virus moderno che è la ricerca del consenso di tutti, a tutti i costi. I cambiamenti creano sempre anticorpi, resistenze, battaglie. Ma se ci si sente di essere nel giusto, è doveroso continuare nel cammino intrapreso. E fanno male gli studenti che si rifiutano di dialogare con lei. L'educazione al confronto è il sale di una società democratica. Perché i democratici, in questi giorni difficili di scioperi e dimostrazioni, sembrano averlo dimenticato?Alessandra Graziottin

www.alessandragraziottin.it

Fonte: Il Gazzettino

domenica 19 ottobre 2008

Il mio canto libero ,di Lucio Battisti



Questa canzone evoca sensazioni di libertà interiore

La gratitudine: un'onda che diffonde calore


Esprimere la gratitudine
Qualcuno dice di non essere capace di manifestare questo sentimento, qualcun altro si difende sostenendo
che si dimentica di esprimerlo.
Se vogliamo che il nostro spirito si avvantaggi di questo nutrimento è necessario abituarsi a tradurlo in
comportamento, cioè in azione oltre che a parole.
Può darsi che in principio serva un po’ di attenzione in più per vedere e apprezzare, ma spesso è una
questione di allenamento interiore che, se coltivato, ci porta a esprimere con naturalezza la gratitudine.
Se all’inizio della giornata ci abituiamo a cogliere i gesti, le facilitazioni, le cortesie di cui gli altri ci fanno dono e
in ogni occasione ci mostriamo grati, il nostro vivere quotidiano ci apparirà meno crudo di come a volte siamo
tentati di pensare.
Diffondere la gratitudine
Consapevoli di quanto questo comportamento, gratificando chi dà, cerchiamo di cogliere tutte le occasioni per
comunicarlo: così facendo ci sarà possibile, in molti casi, “contagiare” le persone con cui entriamo in contatto
facendo loro apprezzare il piacere della gratitudine.
Soprattutto le persone in formazione, come bambini, ragazzi, giovani, trarranno soddisfazione e saranno
invogliati a continuare se risponderemo ai loro gesti di attenzione o cortesia con la nostra esplicita gratitudine.
Nella tendenza generale all’egoismo e all’indifferenza facciamoci promotori di cambiamento premiando,
magari anche solo con un grato sorriso, ogni più piccolo segnale di altruismo e di solidarietà.
Fonte: la dieta dello spirito di Rosanna Lambertucci

Per la cura dei capelli


IMPACCO DETERGENTE E RISTRUTTURANTE
Vi presento la mia ricetta per lavare i capelli, rigenerarli e renderli lucidi e forti.
Potete usare questa preparazione al posto dello shampoo.
• 2 rossi di uova
• 1 bicchierino di rum scuro
• ½ limone grande spremuto
Mescolate tutti gli ingredienti in una ciotola fino a ridurli in una cremina.
Bagnate i capelli e applicate l’impacco.
Massaggiate per qualche minuto su tutta la capigliatura, comprese le punte. In questo modo i capelli vengono
lavati e rigenerati.
Dopo qualche minuto, risciacquate abbondantemente con acqua tiepida e, nell’ultimo risciacquo, per togliere
ogni residuo, aggiungete all’acqua abbondante aceto di mele.
Asciugate come d’abitudine.
Rosanna Lambertucci

lunedì 13 ottobre 2008

Matrimonio,elisir di lunga vita


Si torna ai fondamentali: dopo anni di elogio dei single, o, al più, di due capanne e un cuore (ognuno a casa sua, meno stress e più libertà), ecco che molteplici studi evidenziano la bontà del matrimonio (o di una convivenza stabile) per gustarsi una migliore salute, a tutte le età ma soprattutto dopo i cinquant'anni. Dai templi sereni dei sapienti, come diceva Lucrezio nel De Rerum Natura, emergono dati molto confortanti a favore della stabilità affettiva. Il buon senso, peraltro, lo aveva già compreso da sè che la solitudine, al di là delle dichiarazioni orgogliose e bellicose, può portare un mare di guai, anche per la salute, se non è alleviata da un'ottima rete di affetti.

Extradomestici, amicali e familiari, arte in cui le donne hanno molta più capacità degli uomini. Tuttavia, in tempi in cui senza evidenza scientifica non si possono più fare affermazioni degne di ascolto, ecco che questa mole di dati favorevoli merita di essere analizzata, compresa e condivisa.

In sintesi, la vita matrimoniale (almeno serena, si capisce) riduce il rischio di malattie mentali, in particolare di depressione e Alzheimer, ridotto del 50\%. Riduce il rischio di malattie dismetaboliche: diabete, ipertensione, dislipidemie, o comunque ne aiuta un miglior controllo, anche farmacologico, con progressione di malattia più lenta, migliore qualità di vita e maggiore longevità: cinque anni in più per lei e ben dieci in più per lui, se sposati, rispetto ai single (che il maschio guadagni in salute dal matrimonio è cosa nota, ma addirittura il doppio di lei, questo non era ancora emerso così chiaramente!). Miglior controllo pressorio, miglior sistema cardiovascolare, significa anche meno infarti e ictus, che comunque compaiono più tardivamente rispetto ai single. Per lui, soprattutto se mantiene una discreta vita sessuale coniugale, anche meno tumori alla prostata. E, per entrambi, maggiore competenza immunitaria, meno malattie infiammatorie e minore suscettibilità alle infezioni virali, anche banali, come le influenze stagionali.

Ci sono denominatori comuni, in un buon matrimonio, che possano spiegare effetti positivi così apparentemente diversi per la salute? Certamente. Il primo riguarda gli stili di vita. In un matrimonio decente i ritmi quotidiani sono scanditi in modo molto più regolare che nella vita dei single. Colazione, pranzo o, almeno, la cena sono condivisi e, in genere, preparati con discreta cura. La qualità dei cibi, soprattutto in Italia, è molto valorizzata (e infatti siamo uno dei Paesi più longevi del mondo, insieme al Giappone). Frutta, verdura, legumi, cereali e carboidrati sono più presenti in un pasto domestico familiare che non nei pasti da single (basti guardare i carrelli della spesa dei single verso gli sposati). Questo si traduce in minor livello medio di colesterolo, miglior profilo glicemico, minori rischi dismetabolici, anche se su questo fronte possiamo tutti migliorare ancora molto, con minori rischi non solo cardiovascolari ma anche cerebrali. La demenza, infatti, riconosce l'accumulo di una sostanza tossica come l'amiloide (che causa la vera demenza di Alzheimer) nel 50\% dei casi. Nei rimanenti, la causa principale di demenza è aterosclerotica, ossia vascolare: ecco perché migliorare gli indici vascolari può ridurre quella parte delle malattie neurodegenerative più legata agli stili di vita che non alla genetica. Il sonno, questo grande custode della salute, è più regolare, per quantità di ore e per qualità, nelle coppie stabili. Gli sposati, rispetto ai single, sono meno vulnerabili all'abuso di alcool, droghe e fumo. Sono mediamente più sereni, meno depressi e, di conseguenza, hanno meno bisogno di compensare le loro frustrazioni e solitudini con l'assunzione di sostanze variamente psicoattive. Anche se il matrimonio non è proprio fantastico, la famiglia può essere un grande centro di affetti grazie ai figli, al legame con le famiglie di origine, alle maggiori occasioni di feste condivise. Nelle difficoltà e nelle malattie, la famiglia ha più probabilità di fare quadrato e di sostenere affettivamente il malato da cui invece (quasi) tutti fuggono se è single. Verità triste e terribile. Sul fronte oncologico, il dato più chiaro riguarda la minore incidenza di cancro alla prostata, come si diceva, negli sposati rispetto ai single: una delle ipotesi è che una vita sessuale regolare, consentendo una più costante eliminazione delle secrezioni prostatiche, favorisca anche l'eliminazione di possibili cancerogeni. In parallelo il miglior stato affettivo ottimizzerebbe anche la qualità della risposta immunitaria, essenziale in ogni tipo di tumore per rallentare progressione e rischio di recidive.Sul fronte affettivo, la convivenza serena appaga il bisogno più fondamentale: quello di attaccamento affettivo, di amare e di sentirci amati. Anche senza dichiarazioni d'amore sperticate, ci fanno stare meglio il profumo di casa, gli odori e i sapori condivisi, le voci care. Ci confortano le luci accese quando si torna a casa, la sera, soprattutto d'inverno, quando è più forte il bisogno di tana, le piccole e grandi conversazioni, sui figli, gli amici o i vicini. Ci fa stare meglio una cena seduti, insieme, invece che in piedi, al volo, sbocconcellando cose prese a caso dal frigo, come fanno molti single. Ci fa stare meglio il dormire insieme a qualcuno, soprattutto se l'affetto sereno rende cara la buonanotte, il respiro dell'altro nel buio, il calore della pelle, della sua presenza, che fa calare ogni tensione, ancor meglio se si fa l'amore di gusto e soddisfatti. Per la salute, più che i furori della passione (che non a caso, nell'etimo, ricorda il patire) conta la certezza degli affetti, grande stabilizzatrice di tutti i bioritmi che regolano i pilastri fondamentali della nostra salute, fisica e mentale. In tempi come questi, in cui le Borse tremano, l'incertezza economica aumenta, il rischio di licenziamento diventa concreto, la solitudine dei single può diventare ancora più dolorosa e pericolosa per la salute: non a caso sono già aumentati le depressioni e il rischio di suicidio, soprattutto, per il momento, nelle città americane più colpite dalle crisi delle grandi banche.E allora? Dopo anni di separazioni al primo litigio e alla prima difficoltà, è il caso di ripensare seriamente alla propria vita. Prima di sposarsi (è proprio la persona giusta per me?) ma anche prima di separarsi (abbiamo fanno davvero tutto per valorizzare tutto il buono che c'era quando ci siamo innamorati?), soprattutto se ci sono figli piccoli.Dalla crisi incombente ci viene una lezione di pragmatismo, di concretezza, che invita ad una maggiore assunzione di responsabilità verso la propria vita. Finito il tempo delle cicale, in un periodo che sarà comunque difficile per tutti, ricompattarci intorno al cuore degli affetti ci aiuterà ad essere un po' più sani, forse più sereni, e certo più capaci di speranza, dentro e fuori casa.Alessandra Graziottin

www.alessandragraziottin.it






Scuola ,i riformisti del no di Ernesto Galli Della Loggia

Che cosa realmente sanno della scuola, della causa per cui protestavano, gli studenti che l'altro giorno hanno affollato le vie e le piazze d'Italia? Probabilmente solo che il potere, cattivo per definizione (figuriamoci poi se è di destra!), vuole fare dei «tagli», termine altrettanto sgradevole per definizione, e imporre regole limitatrici della precedente libertà (grembiule, valore del voto di condotta), dunque sgradevoli anch'esse. Sapevano, sanno solo questo, non per colpa loro ma perché ormai da tempo in Italia, nel dibattito tra maggioranza e minoranza, e di conseguenza nel discorso pubblico, la realtà, i dati, non riescono ad avere alcun peso, dal momento che su di essi sembra lecito dire tutto e il contrario di tutto. Nulla è vero e nulla è falso, contano solo le opinioni e i fatti meno di zero.

Esemplare di questo disprezzo per la realtà continua a essere il dibattito sulla scuola. C'è un ministro, Mariastella Gelmini, che dice che la scuola italiana non funziona. Porta delle cifre: sul numero eccessivo d'insegnanti, sull'eccessiva percentuale assorbita dagli stipendi rispetto al bilancio complessivo, sui risultati modesti degli studenti, sulla discutibile organizzazione della scuola nel Mezzogiorno; evoca poi fenomeni sotto gli occhi di tutti: l'allentamento della disciplina, gli episodi di vero e proprio teppismo nelle aule scolastiche. E alla fine fa delle proposte. Discutibilissime naturalmente, ma la caratteristica singolare dell'Italia è che nessuno, e men che meno l'opposizione, men che meno il sindacato della scuola che pure si prepara a uno sciopero generale di protesta, sembra interessato a discutere di niente. Né dell'analisi né di possibili rimedi alternativi a quelli proposti.

Cosa pensa ad esempio dei dati presentati dal ministro Gelmini il ministro ombra dell'istruzione del Pd, la senatrice Garavaglia? Sono veri? Sono falsi? E cosa indicano a suo giudizio? Che la scuola italiana funziona bene o che funziona male? E se è così, lei e il suo partito che cosa propongono?
Non lo sappiamo, e bisogna ammettere che per delle forze politiche e sindacali che si richiamano con forza al riformismo si tratta di un atteggiamento non poco contraddittorio. Riformismo, infatti, dovrebbe significare prima di tutto la consapevolezza di che cosa va cambiato, e poi, di conseguenza, la capacità di indicare i cambiamenti del caso: le riforme appunto. Non significa dire solo no alle riforme altrui, e basta.
Infatti, alla fine, dato il silenzio circa qualsiasi misura nel merito, l'unica proposta che rimane sul tappeto da parte del Partito democratico e del sindacato appare essere virtualmente solo quella di lasciare le cose come stanno. Naturalmente nessuno si prende la responsabilità di dirlo esplicitamente, ma ancor meno nessuno osa esprimere il minimo suggerimento concreto.

In realtà, a proposito della scuola una proposta precisa è stata ed è avanzata di continuo dall'opposizione politico-sindacale. Alla scuola — ci viene detto — servono più soldi (nel discorso pubblico italiano, di qualsiasi cosa si tratti, servono sempre o «ben altro» o «più soldi»). Insomma, la colpa del malfunzionamento della scuola starebbe nelle poche risorse di cui essa dispone: ciò che almeno serve politicamente a rendere ancor più deplorevole la recente decisione del ministro del Tesoro di togliergliene delle altre. Peccato però che pure in questo caso, per dirla con le parole di uno studioso che non milita certo nel campo della destra, Carlo Trigilia, sul Sole-24 ore di martedì scorso, dall'opposizione «non è stata elaborata alcuna proposta di manovra finanziaria che spiegasse se e come era possibile coniugare rigore finanziario e scelte concrete diverse da quelle del governo». Dunque neppure sul come e dove trovare quei benedetti soldi l'opinione pubblica ha la minima indicazione su cui discutere, su cui fare confronti e alla fine farsi un'idea.

Questo non tenere conto dei fatti, dei dati concreti, questo continuo scansare la realtà, finiscono così per diventare uno dei principali alimenti della diffusa ineducazione politica degli italiani. Nel caso della scuola contribuiscono a far credere a tanti, a tanti insegnanti, a tanti studenti, di vivere in un Paese governato da ministri sadici, nemici dell'istruzione, che chissà perché rifiutano di distribuire risorse che invece ci sono; contribuisce a far credere a tante scuole, a tante Università, che i problemi possono risolversi con la messa in scena spettrale — più o meno per il quarantesimo anno consecutivo! — dell'ennesimo corteo, dell'ennesima «okkupazione».


Fonte: Il Corriere della sera

domenica 12 ottobre 2008

Bella ,di Jovanotti

Pace,serenità


L'allodola , di Antonia Pozzi


Dopo il bacio-dall'ombra degli olmi
sulla strada uscivamo
per ritornare:
sorridevamo al domani
come bimbi tranquilli.
Le nostre mani
congiunte
componevano una tenace
conchiglia
che custodiva
la pace.
Ed io ero piana
quasi tu fossi un santo
che placa la vana
tempesta e cammina sul lago.
Io ero un immenso
cielo d'estate
all'alba
su sconfinate
distese di grano.
E il mio cuore
una trillante allodola
che misurava
la serenità.

Freschezza,serenità



Specchio, di Salvatore Quasimodo

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell'erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell'acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.

martedì 7 ottobre 2008

Guido piano di Fabio Concato

Inquietudine umana

Inquietudine umana osservata da tre angolazioni diverse .

11 giugno 1994, di Alessandra Riccio Tabassi


Una clinica
una camera
un letto.
La pioggia viene giù a scrosci
non si ferma
non vuole fermarsi.
Non possiamo andare contro la natura.
E' troppo grande.
Provo tristezza
tanta tristezza.
Il cervello funziona
ma non benissimo.
Il cuore è a pezzi.
L'hanno triturato
una forbice ben affilata
l'ha distrutto.
Un amore finito per sempre.

Spesso il male di vivere, di Eugenio Montale

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa,era il cavallo stramazzato

Bene non seppi,fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua della sonnolenza
del meriggio,e la nuvola,e il falco alto levato.

Mio Signore, di David Maria Turoldo

M'illudo,non so: a volte
oh,raramente! sento
invisibili mani passare
sulla fronte
e liberarmi dolcemente
da tristi pensieri:
allora non sono solo
a sopportare la lunga notte?

lunedì 6 ottobre 2008

È l'ingiustizia che crea violenza e aggressività
di Vera Slepoj
Il razzismo è una parola terminale, conclusiva, definitiva che stabil isce i territori privi di mediazione, sono i comportamenti declinati del pregiudizio, la forma convessa dell'interpretazione distorta delle differenze.In realtà il razzismo è la conseguenza di una infinità di cattive interpretazioni della diversità e dentro la banalizzazione di aspetti evidenti di un comportamento, una razza, una religione, un'ideologia politica,

Che si trasformano in rifiuto, rigetto ed estremizzazione della lettura difensiva della coabitazione e della condivisione delle diversità. Oggi si riparla di razzismo perché c'è un uso della violenza verso fasce della popolazione emarginata, emarginabile, debole, non ben inserita, almeno culturalmente, negli equilibri di un tessuto sociale fragile e precario. Il pregiudizio stabilisce e interpreta i paradigmi su cui si fondano le idee o i principi di aspetti dell'individuo negandone altri, una sorta di parcellizzazione delle caratteristiche di un'identità. Pregiudizio è quello di ritenere una razza inferiore all'altra, una religione inferiore o peggiore di un'altra, un'idea politica migliore o peggiore di un'altra, come si vede è sempre una forma negativa e controproducente che tende a banalizzarne alcune caratteristiche. Diventa una forma emarginata o foriera di pregiudizio che può trasformarsi in razzismo anche denunciare o stigmatizzare comportamenti individuali declinandoli in comportamenti generalizzati. Non si può dire che un Paese è razzista se ci sono comportamenti individuali di intolleranza, così come c'è la tendenza di definire razzista il bianco verso il nero, il musulmano verso il cattolico, la sinistra verso la destra, la destra verso la sinistra. In sintesi, è pericoloso banalizzare i fenomeni di intolleranza perché sono il risultato dell'incapacità o l'impossibilità di avere una giusta tutela e una giusta interpretazione su comportamenti socialmente rilevanti. Il senso di insicurezza, la sensazione che i cittadini di altri Paesi siano favoriti rispetto a quelli, nativi, ad esempio in Italia, l'idea che l'ingiustizia sia nelle strisce della quotidianità portano l'individuo a scegliere le vie dell'aggressività, la violenza e la perdita della capacità di mediare. La nevrosi di denigrare il proprio Paese, di denunciarlo e farlo sembrare negativo non è certamente un modo adeguato per creare quelle forme di equilibrio necessarie per far stare tutti in una casa oramai stretta e poco protagonista del suo futuro. Oggi il razzismo è in ogni angolo dell'animo umano, bianco o nero, perché guarda il mondo con sospetto e alterigia.

Vera Slepoj

Fonte: Il Gazzettino

domenica 5 ottobre 2008

La pazienza


La pazienza è la capacità di non farsi sopraffare dalle avversità, dalle difficoltà, dalle attese.
E’ accettare la necessità di dare tempo al tempo senza scoraggiarsi; è, per citare un bellissimo detto orientale
“Non spingere il fiume, scorre da sé”.
Non a caso è chiamata la virtù dei forti. Ci vuole infatti una serie di componenti perché essa diventi un
autentico corroborante spirituale: una è costituita dal controllo dell’ansia che l’attesa degli eventi o dei risultati
spesso procura; un’altra è la capacità di disciplinare gli impulsi frettolosi, che a volte viene meno per un
malinteso senso di indecisione.
La difficoltà principale della pazienza, infatti, è che può essere presa per passività, per debolezza,
confondendone l’intrinseca virtù con la rassegnazione o, peggio, l’ignavia.
L’equivoco diviene possibile se si identifica l’essere pazienti con la mancanza di azione, quando invece è un
atteggiamento tutt’altro che statico.
La pazienza educativa, ad esempio, di un genitore o di un insegnante mira ad ottenere dall’educando un certo
modo di comportarsi, ed è in questa ottica che la si esercita, ben sapendo quanto sia necessario non
intervenire precipitosamente o, peggio, a sproposito: la pazienza in questo senso non è indice di debolezza o
di indifferenza.
Ci sono persone che per indole non trovano molte difficoltà a nutrirsi di questo componente della dieta
spirituale, ma molte altre possono avere difficoltà caratteriali: pensiamo agli impulsivi; ai collerici; agli ansiosi,
per i quali agire con pazienza è spesso molto difficile. Per loro, come più o meno avviene comunque per tutti,
sono necessarie una ben chiara motivazione e una ferma disciplina mentale.
Cosa si intende per chiara motivazione?
Si intende un motivo consapevole che giustifichi lo sforzo richiesto dalla situazione.
Nelle relazioni affettive è l’amore la ragione di fondo che ci fa affrontare la fatica della pazienza per trovare un
accordo o accontentare le persone che amiamo.
Il tempo: ecco uno degli ostacoli più duri! Perciò questo nutrimento è un prezioso fattore di forza e vitalità
interiore.
La persona saggiamente paziente infatti sarà di certo capace di una vita affettiva attenta e generosa, sarà
inoltre una buona compagna di lavoro, certamente non superficiale e distratta, e difficilmente influenzabile;
inoltre la sua calma oculata la renderà un partner affidabile.
http://www.rosannalambertucci.com/

Perdonare

Non è facile perdonare. Chi ci riesce di voi?

Ho letto, in un libro che mi fa compagnia durante queste giornate, che perdonare non è altro che "lasciar correre":

mettere da parte i pensieri ed i sentimenti negativi che ci hanno accompagnato e liberarci, così, dal peso del rancore. Un peso che, altrimenti, ci farà solo star male.

Non significa approvare ciò che è accaduto ma fare un passo in avanti per staccarsi dal passato.

Quando proviamo del rancore verso qualcuno, molto spesso, stiamo rivolgendo un ' accusa a noi stessi per non essere riusciti a gestire in modo diverso la situazione che, ora, ci fa star male.

Che ne pensate?


Isotta

sabato 4 ottobre 2008

coraggio

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Il bicchiere

Mezzo pieno... mezzo vuoto....




Come lo vedete, voi?

Mezzo pieno o mezzo vuoto?

in queste ultime settimane, ho cercato di vederlo mezzo pieno!

.. anche se, a volte, c'è una domanda che mi assilla:

Chi si è bevuto la metà che manca?


" Un uomo che non rischia niente
per le sue idee
o valgono nulla le idee
o vale nulla l'uomo "

Platone

giovedì 2 ottobre 2008


38° Stagione Concertistica 2008

I Fioretti di S. Francesco D'Assisi

Venezia, Basilica Santa Maria Gloriosa dei Frari
il 3 Ottobre 2008 ore 21:00

Brani scelti dai celebri racconti del Santo di Assisi

commentati da musiche organistiche di scuola toscana

Arnoldo Foà, voce recitante
Giorgio Fabbri, organo Continua qui:


http://www.culturaspettacolovenezia.it/index.php?iddoc=9755



Fonte : Comune di Venezia