domenica 15 marzo 2009
Se i matrimoni di oggi diventano una fiction
È l’aria più leggera, l’esplosione dei fiori, il risveglio della natura che mette in moto i riti più antichi e il matrimonio è uno di questi, antico o moderno, rituale per sancire un’unione, un progetto, un amore, ed è questo il suo tempo. Ragionando un po’ sull’iconografia dello sposalizio da un lato, e delle sue nuove modalità, contenute anche in segnali di spicciola antropologia, dall’altro, si può dire che ricorre con frequenza alla mente l’idea che più che mai questo nostro tempo sia carico di simboli esteriori, estetici, spettacolari più che di contenuti, il progetto, la responsabilità, la valutazione delle scelte e delle conseguenze.
Il matrimonio oggi è un grande circo Barnum, un set televisivo, una fiction cinematografica, una scelta spesso legata alla spettacolarità della scenografia, una celebrazione narcisistica più che un’impostazione etica o religiosa o per lo meno sentimentale.
La coppia spesso sceglie luoghi che siano carichi di suggestione, la casa di Romeo e Giulietta, le Isole Fiji o altro di esotico, la cima delle montagne, la mongolfiera, per i più semplici il mezzo scelto dal trattore al calesse, la 500 d’epoca o la Rolls e, se si va in giro per l’Europa, ci sono le Limousine rosa shocking bardate a festa che si parcheggiano da Kuala Lumpur o davanti alla chiesa di San Basilio a Mosca a ridosso del Cremlino. E fin qui c’è il mezzo e il luogo che deve stupire, da esibire come un memorandum o una proiezione pubblicitaria. Poi c’è l’abito di lui e di lei, e si va dal Fred Astaire e Ginger Rogers fino ai vestiti da star hollywoodiana in raso, satin, voile, lunghi, lunghissimi da dama di ottocentesca memoria con diadema incluso a Rossella O’Hara di "Via col vento" fino a una rivisitazione dei matrimoni celebri di Diana e Carlo d’Inghilterra o la Hunziker e l’ex Eros Ramazzotti fino alla Falchi e Ricucci con terrazze, tendoni, una kermesse che impegna sposi, famiglie e organizzazioni specifiche per mesi e mesi di prove, quasi fosse un kolossal da rivedere in cd, dischi incisi, foto digitali da consegnare a memoria per amici e parenti.
Fin qui il ragionamento analizza la deriva quasi abitudinaria della spettacolarizzazione sposalizia, anche carica di costi tali da far impallidire, in tempi di crisi, anche il più smargiassone, tipologia in ogni caso di matrimonializzazione rituale molto cara ai Paesi sudamericani, ma anche dell’Oriente e dintorni. Il matrimonio si priva così della sua ragione d’essere e spesso, finita la festa, spente le luci, smessi gli abiti da scena, consumato l’ultimo spaventoso clichè del viaggio di nozze, fondamentale per l’iconografia del rito, posati abiti e valigie, spesso è il silenzio a pesare sulla coppia che, non più protagonista della proiezione dei suoi sogni, si deve misurare sulla quotidianità, su quei dettagli sottili, impercettibili, che molto hanno a che fare con la necessità, per mantenere un equilibrio, di avere sintonia, fiducia, solidarietà; in sintesi l’amore che vuol dire complicità e armonia, dove si sommano le gioie e si condividono i conflitti, le diversità e, alla fine, anche i sacrifici.
Le coppie implodono, saltano, si dividono sempre più spesso in inutili conflittualità prive di significato, complici ancora una volta le aspettative di vita coniugale irreali dove si prende e non si dà, dove le condivisioni sono spesso competizioni, rivendicazioni, difficoltà a vivere la coppia e il matrimonio come progetto, non come Grande Fratello dei sentimenti spesso più infantili che reali. Il matrimonio non è un viaggio nell’otto volante della fantasia, è una complessa alchimia fatta soprattutto di buon senso e buona volontà, dove le persone, spenti i riflettori, imparano con pazienza a costruire assieme un futuro condiviso. Allora, la festa si fa, ma ci deve essere subito dopo il consenso perché la nostra coppia impari a vivere la vita per quella che è, trovando nella loro unione il vero trionfo dell’idealizzazione dei sentimenti, soprattutto dentro la rinuncia del proprio personale egoismo, e così forse si potrà dire: vissero felici e contenti.
Vera Slepoj
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