martedì 29 settembre 2009
lunedì 28 settembre 2009
Nasce in Riviera del Brenta la scarpa su misura I piedi delle signore vip saranno passati allo scanner
In Riviera del Brenta 14mila addetti producono oltre 21 milioni di paia di scarpe all'anno. Soprattutto calzature con tacchi a spillo, spesso molto alti. Bene, ora queste scarpe d’elite potranno essere personalizzate. Una donna ad esempio potrà d’ora in avanti entrare in una boutique della scarpa e scegliere un modello. La novità è che un macchinario passerà letteralmente i suoi piedi ai raggi X, usando una metafora, dopodichè l’intera documentazione verrà inviata ad una delle tante aziende che operano in Riviera. Dopo pochi giorni alla signora verranno consegnate due scarpe perfette, letteralmente fatte su misura.
«In un momento di riflessione come quello attuale - hanno sottolineato Marcellino Doni e Mauro Tescaro, presidente e direttore del Politecnico Calzaturiero alla presentazione dell'atteso progetto “Dal piede digitale alla scarpa” - gli imprenditori rivieraschi hanno dimostrato di essere molto attenti all'innovazione di prodotto e di accesso tecnologico. Attenti a riflettere anche su nuovi modelli di business che possano offrire opportunità di sviluppo alle nostre aziende. Il progetto, primo ed unico in Italia, è in sostanza un ritorno quasi romantico agli inizi della carriera di tanti imprenditori: realizzare la “scarpa su misura”. Un tempo, seduti davanti al “banchetto” e adesso usando nuove tecnologie».
Industriali ed allievi della scuola per tecnici e designer hanno potuto osservare ammirati lo scanner infoot ed i software che consentiranno di effettuare numerose operazioni: trovare la forma più simile al piede digitale, modificarla per adattarla e sviluppare sulla stessa i modelli della collezione.
Al termine della presentazione - l'incontro è stato promosso dall'Acrib e dal Politecnico, in collaborazione con la società Torielli - sono state illustrate le attrezzature per la digitalizzazione e i software. Dal 28 settembre al 2 ottobre le Aziende del Distretto Veneto Calzaturiero parteciperanno ad incontri di approfondimento personalizzati per sperimentare la nuova metodologia e le performance delle tecnologie disponibili.
Silvano Bressanin ( Gazzettino)
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mercoledì 16 settembre 2009
I vestiti come le automobili: l’usato per lo sconto sul nuovo
L’idea anticrisi di un commerciante con negozio di abbigliamento in centro a Padova. «Le tariffe? Cento euro per un abito»
Il commerciante ritira i capi usati dei clienti, in cambio di buoni acquisto per comprare la merce nuova. «Perché gli armadi sono pieni e la gente ha sempre meno soldi in tasca», dice lui. Così ecco la pensata. «Vendo gli ultimi arrivi e intanto raccolgo gli abiti che non si usano più. Era da un po’ che ci pensavo, ora è giunto il momento».Da qualche giorno in vetrina fa dunque bella mostra un cartello, che sembra mutuato da una concessionaria di automobili. «Il tuo usato da scontare sul nuovo», vi si legge.
«Anche pantaloni con i buchi o abiti viziati, macchiati, rovinati », spiega. L’importante è che sia merce di seconda mano. Già indossata. «Abbiamo battezzato l’iniziativa “operazione usato”», dice. «E in Italia siamo i primi a mettere in pratica una cosa del genere», Il commerciante ha acquistato un capannone fuori città, dove verrà depositato il vestiario raccolto che sarà poi venduto ad una ditta tessile di Prato per mezzo euro al quintale. L’operazione è stata studiata nei dettagli. Tanto che per ogni tipo di capo usato, che sarà consegnato in negozio, è previsto un buono sconto di valore differente. «Un abito di seconda mano vale 100 euro – spiega il signor Alberto - . E la stessa cifra sarà assegnata per un cappotto di seconda mano». Chi porterà invece una giacca o un giaccone potrà beneficiare di un bonus da 50 euro; chi invece lascerà un impermeabile addirittura 80. I pantaloni infine valgono 30 euro, le camicie e le maglie 20. «E’ un’iniziativa un po’ rischiosa - confida il signor Alberto- , anche perché noi non contiamo su nessun contributo statale. Ma siamo disposti ad andare avanti finché vedremo che le cose funzionano».
Sarà interessante vedere quale sarà la reazione dei clienti all’iniziativa !
Fonte: Il corriere del Veneto
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lunedì 7 settembre 2009
Più attenzione per le nostre stanche ossa
Serve fare la densitometria ossea computerizzata (Moc), ossia l’esame per documentare appunto la densità delle nostre ossa? Sì, anche se molti medici tendono a posticipare l’età in cui fare questo esame a ben oltre la menopausa, dicendo che tutto sommato non serve o serve poco farla a cinquant’anni, e che quindi è meglio risparmiare i soldi. Errore. Uno studio corposo pubblicato sulla rivista scientifica “Osteoporosis” da R.J. Barr e collaboratori dell’Università di Aberdeen, ha analizzato ben 4800 donne tra i 45 e i 54 anni.
Dunque in un’età in cui la menopausa non è ancora necessariamente arrivata ma se ne avvertono i primi sintomi. Queste signore hanno iniziato lo studio nove anni fa: la metà ha fatto la Moc, l’altra metà no. Dopo nove anni ecco il risultato fondamentale: quelle che avevano fatto la MOC in quell’età ancora giovane, e scoperto che avevano l’osteopenia (situazione di iniziale riassorbimento osseo) o l’osteoporosi (riassorbimento che aumenta il rischio di frattura ossea), avevano iniziato la terapia ormonale sostitutiva con gli estrogeni, tanto vituperata in Italia, nel 52,4% contro il 44% dei controlli, quindi il 7,9% in più. Perché gli estrogeni? Perché sono i più potenti amici di un osso giovane, elastico, funzionante vitale. Se si considera che in Italia fa terapia ormonale solo il 3% delle donne, c’è da pensare…. Inoltre, il 36,6% delle donne studiate con MOC contro il 21,6% delle donne di controllo (15% in più) aveva fatto uso di vitamina D, Calcio, o “calcio addensanti” (alendronato, etidronato, raloxifene). Con un risultato pratico, di salute, notevolissimo: una riduzione di ben il 25,9% delle fratture ossee di ogni tipo. Quindi una MOC ai primi segni di menopausa è preziosa per capire se si è a rischio di maggiore perdita ossea, sia per responsabilizzare donne e medici curanti sull’opportunità di terapie adeguate, sia per ridurre i costi spaventosi, quantizzabili e non quantizzabili, che una o più fratture comportano per la donna colpita, la sua famiglia e la società. Costi di esami, ospedalizzazione, cure, riabilitazione, assistenza domiciliare, tempo dedicato dai familiari. Ma anche costi non quantizzabili, eppure pesantissimi, emotivi e affettivi: il dolore, la disabilità, la perdita di autonomia e, spesso, di dignità, in ospedalizzazioni lunghe in cui la malata diventa un corpo oggetto di cure e non una persona sofferente. Costi fatti di solitudine, di senso di impotenza, di analgesia inadeguata, di sconforto, di tristezza, di abbandono.
Ci vuole proprio una MOC per capire se l’osso si sta riassorbendo troppo velocemente indebolendosi in modo irreversibile? Per confermarlo, sì. Anche se certamente alcuni segnali di rischio possono aiutare a individuare le donne che hanno bisogno di diagnosi e aiuto più precoci. Questo perché l’osteoporosi è un nemico insidiosissimo della salute delle donne, specie dopo la menopausa, per una ragione fondamentale spesso trascurata: è silenziosa. E quando dà segno si sé, per il dolore da microfratture, per una frattura conclamata, o perché gli impianti dentari falliscono, per il riassorbimento marcato dell’osso alveolare, su cui sono letteralmente “piantati”, spesso è troppo tardi.
Come capire se una donna è vulnerabile a questo invecchiamento osseo patologico? Abbiamo molti segnali: il primo è la familiarità. Una mamma, una nonna sofferenti per l’osteoporosi, o fratturatesi per questo, sono un segnale di attenzione. Il secondo è la storia estrogenica personale. Sì, perché, come si diceva, gli estrogeni sono il miglior amico del nostro tessuto osseo: garantiscono che nuovo calcio si depositi nell’osso - che è un tessuto molto dinamico, contrariamente a quanto si pensi- e limitano il suo riassorbimento. Quando una donna ha avuto la prima mestruazione tardi, lunghi periodi di blocco mestruale (la cosiddetta “amenorrea disfunzionale”), da dieta eccessiva, da forte stress psicofisico, da lutto, ma anche per terapie mediche, o ha avuto una menopausa precoce, spontanea o provocata, è già ad alto rischio di più rapida perdita ossea (il cosiddetto “bilancio negativo del calcio”) a meno che non assuma terapie estrogeniche, in assoluto le più potenti amiche dell’osso, come tutti gli studi sull’argomento hanno confermato nell’arco di questi decenni, senza eccezioni. Il che, in medicina, è cosa rara… Il terzo fattore di rischio è l’alimentazione: una dieta povera di calcio espone già in età fertile a perdere osso, anche marcatamente. Oggi soprattutto, con la moda delle intolleranze alimentari, migliaia di donne giovani e meno giovani non toccano più né latte né latticini. Attenzione: bisogna allora sostituire il calcio tolto dall’alimentazione con almeno 1.000 mg di calcio al dì, per tutto l’anno e per tutta la vita, se la restrizione dei latticini persiste (per esempio, per carenza di lattasi, l’enzima che ci consente di digerire il latte). Altrimenti un’osteoporosi precoce e grave è garantita. Il quarto è la mancanza di movimento fisico quotidiano, sia in età fertile, sia quando si facciano le terapie per curare la stessa osteopenia o osteoporosi.
L’esempio che faccio alle mie pazienti è semplice: “Prescrivendole gli estrogeni (ed eventualmente il testosterone), calcio, vitamina D, magnesio, e calcio addensanti, le fornisco tutti gli ingredienti per fare la torta che si chiama osso. Ma se lei non li impasta tutti i giorni, ossia non li attiva con il movimento fisico, avrà sì, ingredienti perfetti, ma la torta-osso non verrà mai fuori. Anzi, succederà una cosa poco nota: il calcio si deposita sì sul collagene dell’osso un po’ di più, rispetto a chi non assume queste terapie, ma in modo casuale e non “biomeccanicamente adeguato”, come succede se invece la donna cammina e fa sport. Risultato: l’osso diventa più rigido, meno elastico, e può fratturarsi di più in caso di sollecitazioni meccaniche brusche come il semplice inciampare”.
Morale: con l’allungarsi della vita, la frattura da osteoporosi, con l’obbligo di periodi prolungati a letto e le frequenti trombosi che ne derivano, è causa gravissima di disabilità, di dolore, di solitudine e di morte. Ognuno di noi deve adottare stili di vita sani, tra cui alimentazione adeguata e movimento fisico quotidiano. Ma certamente sono necessari quegli esami diagnostici precoci, come la MOC, che ci consentono di riconoscere che un’osteopenia o un’osteoporosi sono già iniziate, prima che compaiano le fratture e il dolore. Per vedere subito quel semaforo rosso che può portarci a migliorare le nostre abitudini di vita, ma anche a fare quelle terapie amiche del nostro futuro, come le terapie ormonali dopo la menopausa, che, oltretutto, costano molto meno di qualsiasi altra terapia per l’osteoporosi. E che sono tanto più preziose quanto più sono iniziate subito dopo la scomparsa del ciclo e a dosi personalizzate.
Attenzione, tuttavia: fare una MOC non serve, se poi non si cambiano le strategie di prevenzione per garantire la salute dell’osso. Ecco perché l’assunzione quotidiana di responsabilità verso la propria vita è necessaria per allungare l’aspettativa di salute, costruendo oggi le basi per un domani sereno in dignità e autonomia, di corpo e di cuore.
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Cliccare per vedere Venezia dall'acqua ( evento interattivo sul tema del Canal Grande 6-11 settembre)
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