E' ARRIVATO L'INVERNO!!...

lunedì 29 settembre 2008



L’amore richiede pazienza
E un solo errore può distruggerlo

Passare da un partner all’altro non serve a nulla


di Francesco Alberoni

Un tempo in un villaggio tutti sapevano tutto di tutti. Se arrivava uno straniero gli occhi erano puntati su di lui ed era impossibile avvicinarlo senza che gli altri ne venissero a conoscenza.

L’individuo aveva rapporti con poche persone: i familiari, gli amici, i parenti, gli abitanti del paese. Era in questo nucleo chiuso che avvenivano tanto gli affari quanto le scelte amorose. La ragazza si fidanzava e si sposava con uno del luogo. Solo chi andava in città aveva altre possibilità di incontro.

Ma anche qui, una volta sposati, i coniugi condividevano i conoscenti e gli amici. Oggi tutto è cambiato. La gente viaggia, studia o lavora in altre città, partecipa a congressi, ha continue occasioni di conoscere altre persone andando nei villaggi vacanze o in crociera. Infine, con Internet, ciascuno può fare nuove conoscenze, scambiare con loro email, foto, filmati o incontrarsi personalmente. Nel campo erotico e amoroso ogni individuo oggi, se lo vuole, ha la possibilità di scegliere fra innumerevoli alternative.

Eppure sono molte le persone che non trovano l’amore che cercano e che si sentono sole. In ogni essere umano, infatti, esistono due tendenze opposte, una che ci spinge alla ricerca di nuove esperienze, di nuovi rapporti e l’altra che invece ci fa desiderare di amare ed essere amati da una sola persona e di realizzare solo con lei una intimità totale.

Avendo a disposizione numerose alternative, molti spesso hanno tanti rapporti, tante esperienze, provano e cambiano in modo frettoloso. Alla più piccola frustrazione, alla più piccola delusione cercano subito qualcosa di meglio. Ma l’amore non si trova correndo in modo veloce da uno all’altro. Occorre tempo per capire se ciò che proviamo è amore o solo una attrazione. Occorre tempo per capire se l’altro ci ama. Occorre tempo per capire se il legame è forte.

E in questo periodo delicato un solo errore può distruggere tutto. L’amore infatti è come il diamante, durissimo e fragile. Vuole tutto, non puoi dirgli «resta dove sei, vado a fare un’altra esperienza e torno». E se lo perdi non puoi rimpiazzarlo, non c’è nessuno al mondo che lo possa sostituire. Lo puoi cercare anni e anni nei viaggi, nei club, nelle discoteche, sul web senza trovarlo. Poi talvolta invece, quando meno te lo aspetti, lo incontri. Ma, come la prima volta, corri sempre il pericolo di fare un errore e di perderlo. Devi riconoscerlo e averne cura.

Fonte.Corriere della sera

giovedì 25 settembre 2008

Il ponte della Costituzione


Millecinquecento settanta euro al giorno. È il costo che la collettività deve sostenere per la vigilanza 24 ore su 24 del ponte della Costituzione, per evitare che si verifichino imbrattamenti, atti vandalici, danneggiamenti o anche semplici atti di maleducazione. Ogni giorno servono dieci vigili: due la mattina, due il pomeriggio, tre la sera e tre la notte, con turni di sei ore. Per dare un'idea di questo onere economico si può dire che la vigilanza è finora costata 19mila 200 euro dal giorno dell'apertura al pubblico. Se, per assurdo, questa vigilanza dovesse essere permanente, il Comune dovrebbe tirare fuori 584mila euro ogni anno. Critico il vicesindaco Michele Vianello, che è anche assessore alla Polizia municipale. «Per quanto mi riguarda - commenta - la cosa deve finire rapidamente perché mi distoglie parte del personale da compiti istituzionali, a cominciare dalla repressione del commercio abusivo». Anche il personale, però, rumoreggia per un incarico considerato dequalificante. "Troviamo inammissibile - dicono alla segreteria provinciale della Cisl - che ci siano dei vigili impiegati giorno e notte a guardare un ponte e verificare se un carrello o una valigia pesa più di 20 chilogrammi", come prescrive la normativa comunale varata dalla giunta poche ore prima dell'apertura del ponte di Calatrava, la sera dell'11 settembre.

fonte: Il Gazzettino

martedì 23 settembre 2008

Le cose che ho imparato nella vita ( Così dice Annalisa nel suo blog)

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

-Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà.
E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
-Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
-Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
-Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
-Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti,o essi controlleranno te.
-Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
-Che la pazienza richiede molta pratica.
-Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
-Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai,è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
-Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
-Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze:sarebbe una tragedia se lo credesse.
-Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
-Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.
-Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
-Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.
-La miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti che è come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
-È vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
-Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
-Non cercare le apparenze, possono ingannare.
-Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.

-Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
-Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
-Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
-Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
-Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.
-Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
-Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
-L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un the.
-Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e tuoi dolori.
-Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l'unico che sorride e ognuno intorno a te pianga

Paulo Coelho

Sogno d'amore


MUSICA I Solisti Veneti celebrano Puccini con Andrea Bocelli venerdì a Padova

"I Solisti Veneti" diretti da Claudio Scimone, premiato la scorsa settimana con il prestigioso premio veneziano "Una vita per la musica", inaugurano con una grandiosa manifestazione le celebrazioni per la loro cinquantesima stagione concertistica. A Padova, nella storica Chiersa degli Eremitani venerdì 26 settembvre alle 21 terrano infatti un concerto, realizzato in collaborazione con la Fondazione Antonveneta, di spessore artistico e culturale senza paragoni, destinato ad avviare una lunga serie di concerti celebrativi che si estenderanno lungo i restanti mesi di quest'anno e ancora per tutto il 2009.

Per l'occasione si riunirà agli Eremitani un cast di artisti di eccezionale rilievo mondiale raccolti per l'esecuzione di un immortale capolavoro musicale: la "Messa di Gloria" di Giacomo Puccini che si iscrive nell'ampio calendario di manifestazioni dedicate a festeggiare il centocinquantesimo anniversario della nascita del compositore.

Protagonista sarà innanzitutto Andrea Bocelli, interprete che vede ormai da tempo coronate di entusiasta popolarità le sue naturalidoti vocali e musicali, accanto a lui il baritono Gianfranco Montresor, reduce da successi di pubblico e di critica sui maggiori palcoscenici europei, e ancora uno dei più celebri e gloriosi cori d'Europa, il Wiener Singakademie diretto da Heinz Ferlesch. E naturalmente "I Solisti Veneti", e Claudio Scimone, che dirigerà l'esecuzione musicale di questa serata che prevede anche anche l'esecuzione del "Padre nostro" per tenore, coro e orchestra di Andrea Bocelli, del romantico "Panis Angelicus" sempre per tenore, coro e orchestra di Cesar Franck, e di quella popolare "Ave Maria" di Pietro Mascagni elaborata sulla traccia di uno dei dei più amati temi del grande operista novecentesco.

I biglietti sono disponibili a Padova presso Gabbia (via Dante, 8 tel. 049. 8751166), Musica musica (Galleria Altinate, 20/22 tel. 049. 8761545) e presso l'Ente I Solisti veneti (Piazzale Pontecorvo, 4/a tel. 049. 666128).

Mina


La ragazza che si negò a Sinatra, Fellini, Pavarotti, e poi al pubblico senza mai tradire l'amore per la canzone

di Giò Alajmo

La festeggeranno in contumacia, perchè Mina è un po' "l'isola che non c'è" della canzone italiana. Come Lucio Battisti a suo tempo, Mina ha scelto la via dell'isolamento, un'assenza-presenza che stacca nettamente la vita privata da quella pubblica. Da quando i suoi affetti, le scelte personali, la gravidanza "scandalosa" per l'epoca, hanno interferito nel suo lavoro, negandole la presenza in video e perfino censurandone spot pubblicitari, la voce straordinaria che rifiutò di collaborare con Frank Sinatra e ha detto sempre di no a Pavarotti, e perfno a Federico Fellini, ha scelto di negarsi al pubblico: prendano la mia musica, comprino i miei dischi, ma non mi scoccino, era in sintesi il messaggio.

Poi col tempo l'assenza è diventata abitudine, quasi un gioco. da anni c'è chi prospetta folli offerte pur di rivederla in scena, un'ultima volta, su qualsiasi palcoscenico. Non succederà ma c'è chi spera ancora, perchè sarebbe un colossale affare, perchè in fondo la signora invisibile si è già offerta in immagine nel 2001, aprendo alla pubblicità e al pubblico il suo studio per un video che resta l'ultima immagine effettiva dell'artista in azione.

Ieri Mina si è concessa per iscritto, una breve memoria in terza persona su "La Stampa" di Torino in cui ricordava i suoi esordi giovanili, una "lungagnona" che cantava per se stessa e non per la gente. Che fastidio quegli applausi. E che amore e che rispetto invece per le canzoni dal loro "meccanismo misterioso".

Mina è stata la prima grande ribelle dell'Italia del boom. Era una ragazza borghese anticonformista, libera e non convenzionale. E poi aveva la voce. Esplose l'anno dopo la rivoluzione canora di Modugno e di "Volare", inneggiando alle ragazze che adorano la "tintarella di luna". Era una ragazza rock'n'roll, che si agitava e vestiva i pantaloni. Ma quando nel pieno del successo si presentò a Sanremo con una surreale canzone di Carlo Alberto Rossi, "Le mille bolle blu" e fu bocciata se la legò al dito e disse definitivamente addio al Festival.

Nella sua casa-ufficio-studio di Lugano, ai piani alti di un grande palazzo dove accedono regolarmente solo gli amici e i musicisti invitati, oggi la sua voce continua a essere incisa con l'aiuto del figlio Massimiliano che si diverte a dare forme diverse a canzoni e stili. Escono due o tre album l'anno tra collection, inediti e raccolte a tema. Il suo amore per la canzone è testimoniato dall'instancabile ricerca di materiale nuovo, dal continuo ascolto di demo e nastri inviati da giovani e sconosciuti autori a cui lei regala qualche sprazzo di notorietà incidendone i brani.

Mina ha 68 anni. È brava. E per dire quanto, provate voi a cantare "Brava" come lei. Peccato che sia ancora convinta, come agli esordi, che si possa cantare solo per se stessi e non confrontandosi con la gente. Anche se la gente in fondo non è granché...

Fonte: IL Gazzettino

psiche e anima

di Vittorino Andreoli

I concetti di psiche e di anima non hanno sempre una loro distinzione netta, specie se si sta alle loro radici etimologiche. Entrambi i termini infatti convergono verso degli stessi significati: anima da anemos vuol dire soffio, vento; e psiche significa esattamente respirare e soffiare. In origine dunque i due termini erano usati per indicare la parte immateriale dell’uomo, espressa in maniera chiara dalla concezione aristotelica per cui al corpo si univa l’anima. Qualche chiarezza in più la si ebbe con la patristica, seppure nel corso della storia i due significati si sarebbero ancora intersecati, e ciò anche nella seconda metà dell’Ottocento, quando le scienze psicologiche hanno trovato grande sviluppo e diffusione.

Il termine psiche usato sia in psicologia (studio della psiche) sia in psichiatria (cura della psiche) non chiarisce bene che si tratta di qualcosa di diverso dall’anima. E lo si può desumere anche dal linguaggio corrente, quando si parla di cura dell’anima o di medico dell’anima a indicare appunto lo psichiatra. La sovrapposizione è ancora evidente allorché ci si riferisce alle funzioni dell’anima e alle facoltà della psiche per cui si sente popolarmente dire: «Ti amo con tutta l’anima», quando si sa che gli affetti sono anzitutto funzioni psichiche, fra l’altro elaborate in specifiche aree cerebrali e dunque dentro la materia del cervello. Del resto si usa dire: «Ti amo con tutto il cuore», quando volendo attestarci in un organo sarebbe più corretto affermare: ti amo con tutto il cervello, dove ha sede appunto la funzione dell’affetto e del piacere, ma in quel "cuore" residua l’antica concezione che poneva la vita nel cuore proprio per il suo movimento, come motore del sangue a cui da sempre è legata la vita.

Non si tratta di banali osservazioni, possibili per tanti altri termini e riconducibili all’uso della lingua e ai suoi cambiamenti che si legano a esperienze storiche, e a condizioni del tutto empiriche. Nei limiti posti da un articolo di giornale vorrei qui offrire il mio parere, che è quello di uno studioso che esercita la professione dello psichiatra, ma che è rispettoso di quel mondo che riguarda l’anima nella sua accezione religiosa, quale entità che, ispirata da Dio creatore, entra nell’uomo per distaccarsi da esso con la morte, e che dunque ha una propria autonomia, per essere materia non corporea e trascendente, con un destino cioè che supera i confini della vicenda terrena. Per quel che mi riguarda, partirei dagli studi sul cervello e dalle neuroscienze che hanno caratterizzato la ricerca sul comportamento e sulla facoltà mentali all’inizio del secondo dopoguerra. Il cervello è risultato composto di due grandi processi: uno fissato fin dalla nascita e guidato in maniera completa dai geni; un secondo processo invece plastico, che si struttura in funzione delle esperienze, e dunque non è determinato in quanto viene organizzandosi proprio con lo scorrere della vita.

È la componente che potremmo definire acquisita: nel senso che non sfugge al gene, o almeno non completamente, giacché occorre che proprio il gene la permetta, e le dia disposizioni, che tuttavia diventano reali solo se accadono certi eventi.

L’esempio più semplice lo troviamo nella memoria: leggere questo articolo su Avvenire non è obbligatorio per nessuno, ma se uno decide di leggerlo o casualmente gli capita di leggerlo potrebbe essere colpito da qualche affermazione e potrebbe anche ricordarla, raccontandola anzi a un amico, e se proprio lo ha interessato ripensarla tra due anni e magari utilizzarla per proprie elaborazioni o per associarla ad altre osservazioni. Ebbene quel dato memorizzato sia nel caso di memoria a breve termine che a lungo, è stato possibile perché in certe aree (frontali e parietotemporali) si sono attivate strutture di tipo particolare che mai si sarebbero attivate se l’articolo non fosse stato letto. La memoria del dato è esattamente quella struttura del cervello di nuova formazione. Dunque, gli studi sull’organo cervello ammettono che la facoltà del ricordare abbia un substrato materiale e che quel segno materiale (circuito neuronale o modificazione di membrane neuronali) sia di fatto la memoria. La stessa cosa si potrebbe descrivere in termini biologici e molecolari, oppure in termini psicologici.

Dal che si può desumere che le funzioni del pensiero hanno una loro materialità nel cervello e che la dimensione psichica (che appartiene alla psicologia e alla psichiatria) poggia su meccanismi biologici che hanno un loro substrato materiale. Ovvio che la psiche sia legata al cervello, e se il cervello non funziona, perché entra in coma oppure viene traumatizzato, anche le sue funzioni ne risentono. È evidente che non può essere questa l’anima, perché essa non solo non trascende la materia ma addirittura esce dalla materia. Potremmo dire la psiche è ancora creta, qualcosa che si lega a quella sostanza organizzata geneticamente in un certo modo e passibile di plasticità, per cui si arricchisce anche con le esperienze.

E infatti possiamo dire, anche se può sembrare a prima vista paradossale, che dopo aver letto questo o un altro articolo che abbia stimolato un interesse e un processo di ritenzione mnemonica, il cervello del lettore non è più lo stesso: è qualitativamente diverso.

Lo psicologo e lo psichiatra dunque si occupano di cervello, anche se in modi differenti ad esempio dal biologo, in quanto loro si fermano alle manifestazioni e quindi a una descrizione dei processi cerebrali come appaiono fenomenologicamente. Se lo psicologo descrive cosa vede, il biologo invece studia cosa avviene dentro l’organo cerebrale. I due linguaggi per la verità sono ancora lontani perché il biologo sa molto poco di tutta la complessità dell’organo mentre lo psicologo lo può descrivere nei dettagli e in modo totale. Freud nel 1939 (nel «Sommario di psicoanalisi») diceva: «Verrà un giorno in cui forse i processi mentali potranno essere descritti proprio in maniera biologica».

E allora, potremmo aggiungere noi, non ci staranno più due linguaggi, biologico e psichico, ma si sarà trovata la stele di Rosetta e quindi si potrà parlare un’unica lingua. Comunque si vedrà nel futuro, quel che intanto sappiamo è che quanto è riferibile al cervello, e allo psicologico come espressione di quell’assetto cerebrale complesso, non è al tempo stesso riferibile all’anima di cui parlano le teologie. La quale anima si pone oltre la materia del cervello, e oltre il campo di osservazione tecnico-scientifica degli scienziati.

Da non teologo io vorrei segnalare due caratteristiche dell’anima: la sua immaterialità, quale essenza che arriva all’uomo, e che non ci è dato di rilevare con gli strumenti dell’osservazione empirica. Per il cristiano l’anima è addirittura il principio dell’identità personale, che sopravviverà anche dopo la morte, quando abbandonato il corpo e il cervello, lascerà anche tutte le facoltà cerebrali. Una identità che se dapprima si lega al corpo, resisterà anche oltre il corpo, permettendo all’uomo di vivere in eterno, cioè oltre le forme del tempo e dello spazio qui conosciute. Un’affermazione, questa, che non è soppesabile sotto un profilo scientifico e sperimentale: d’altra parte sarebbe assurdo e pretenzioso volere ridurre tutto a esperimento, o affermare che non potendo l’anima avere una sua dimensione misurabile allora essa è pari al nulla, ossia ad un’idea balzana che nasce dal cervello di qualcuno, anzi da un suo malfunzionamento.

Seconda caratteristica dell’anima quale la teologica ce la presenta è la sua eternità, poiché è una scintilla di Dio, che da Dio ci viene e a Dio ritorna, Lui che è l’Essere incorruttibile ed eterno. Proprio per queste qualità non può essere l’anima dipendente dal cervello, quasi ne fosse una sua parte o una sua derivazione materiale, giacché come abbiamo detto il cervello può funzionare oppure no, e funzionando lo fa in maniera diversa a seconda della dotazione dell’organo cerebrale.

Ed ecco la grande differenziazione: l’uomo può conoscere attraverso il calcolo e le dimostrazioni scientifiche, ma può farlo anche attraverso una fede che poggia sulla rivelazione divina. E il cristiano sa di avere una psiche, espressione del cervello, ma anche un’anima, che è diversa dal meccanismo psichico, e che è slegata anche dalla materialità dell’organo cerebrale e dal suo funzionamento, perfetto o meno. E dico slegata nel senso che non vedo un legame di causa-effetto, ma una condizione di esistenza: l’esistere di quel corpo individuale, appartenente a quella data persona, è un tutt’uno con la sua anima, ma è anche la condizione perché questa entità spirituale e personale che chiamiamo anima si esprima nel tempo, rivelando il rapporto originale tra Creatore e creatura.

Ma qui ho già oltrepassato il limite di ciò che appartiene alla mia professione di psichiatra. Nella mia vita io mi sono occupato della psiche, ma – ed è questo il motivo di questo lungo excursus – non mi sono mai sentito disturbato dall’idea che esista qualcosa nell’uomo che serve a spiegare la sua identità più spirituale e il suo destino eterno. E da qui viene il criterio che mi ispira nell’utilizzo distinto di termini come psiche e anima, che io non vorrei mai confusi.

E che forse anche in campo cattolico occorrerebbe non confondere mai. Se ne avvantaggerebbe il dialogo tra credenti e non credenti, ma anche il crescere della conoscenza secondo le regole epistemologiche che sono proprie di ogni disciplina. L’uomo è ad un tempo un libro aperto e un abisso misterioso: nella misura in cui rispettiamo questa sua irriducibile complessità, sapremo anche accostarci a lui in nome e in ragione delle diverse competenze con l’atteggiamento più giusto che è quello del rispetto profondo, anzi della venerazione.

lunedì 22 settembre 2008

Il problema della droga


Gli avvenimenti di questo fine settimana obbligano a ritornare sul problema della droga. Troppi morti da droga accoppiata all'alcol! In realtà non c'è da meravigliarsi considerando l'alta percentuale di positivi che si riscontra costantemente nei numerosi controlli effettuati in luoghi di guidatori a rischio.

Il contagio da droga non si sta purtroppo attenuando: alle anfetamine, alla cocaina si è aggiunta recentemente la chetamina, una sostanza che determina allucinazioni, dissociazione della personalità e forme simil-schizofreniche. Oramai non si può più parlare di singole droghe perché è sempre più frequente l'uso di cocktail: anfetamina e cocaina associate alla cannabis e il tutto potenziato dall'impiego dell'alcol. Tutto ciò, come è noto, determina una diminuzione dell'attenzione, della concentrazione e dei riflessi che incide non solo nella guida delle autovetture ma anche nell'impiego di macchine pericolose nei luoghi di lavoro.Un'epidemia
A questa vera e propria epidemia che comporta morti evitabili sembra che la società non sia in grado di reagire. Le tragiche notizie si succedono nel tempo, vengono riportate dai mass media in modo asettico, quasi si trattasse di un pegno che si deve pagare per poter essere sempre in forma ..

Un'epidemia

A questa vera e propria epidemia che comporta morti evitabili sembra che la società non sia in grado di reagire. Le tragiche notizie si succedono nel tempo, vengono riportate dai mass media in modo asettico, quasi si trattasse di un pegno che si deve pagare per poter essere sempre in forma ed instancabili, mentre nei drogati alla sensazione di onnipotenza fa seguito l'incapacità di effettuare ciò che si vorrebbe ed una terribile forma di depressione. I politici dovrebbero dedicare più tempo ad occuparsi di questo male della società moderna.Occorre indubbiamente aumentare la repressione. Sembra impossibile che non si possa ridurre l'importazione di droga e che non si possano identificare i registi di questo ignobile commercio. Si devono inasprire le pene pecuniarie per chi guida in preda alla droga o all'alcol. Si faccia pagare a loro il costo dei controlli. È anche tempo di considerare il peso che ha l'alcol in questa epidemia. Si deve evitare la pubblicità e si deve pensare di inserire nelle etichette dei prodotti che contengono alcol un avvertimento che renda tutti edotti sui pericoli che genera questa droga. Occorre anche fare in modo che non vi sia tolleranza per chi guida autovetture, motociclette o scooter.

Chi guida non deve bere alcol come succede in altri Paesi. Deve essere comunque chiaro che se la repressione è una necessità soprattutto se è dura e senza scappatoie, deve essere altrettanto evidente che alla repressione occorre affiancare un vasto programma di ricerca, di educazione, di informazione. La ricerca è indispensabile perché non è affatto noto cosa fare per contrastare l'epidemia. Programmi nella scuola di tutti i gradi, informazioni scritte, coinvolgimento di opinion leader, sportivi, attori e cantanti, mobilitazione di insegnanti, sacerdoti, medici e sociologi, corsi per i genitori, sono tutte iniziative che sembrano utili, ma di cui non conosciamo l'efficacia. Anche le comunità che si occupano di riabilitazione dovrebbero essere valutate per capire quali sono le metodologie che danno i migliori risultati.Una mentalità di ricerca è necessaria per verificare i risultati di tutte le azioni intraprese visto che si possono misurare con metodi obiettivi attraverso la misura dei metaboliti delle droghe che si ritrovano nei liquidi delle fogne. È importante che tutti si occupino dei problemi della droga ma è essenziale che vi sia un coordinamento e che il problema venga aggredito da tutte le possibili angolature e con tutti i mezzi attraverso una specie di campagna sociale. In questo senso ha destato interesse la costituzione di una authority a Palazzo Chigi con il compito di occuparsi delle droghe. È augurabile che questa struttura abbia tutti i mezzi e le competenze necessarie per poter operare con celerità perché come tutte le epidemie anche questa delle droghe deve essere stroncata in tempi brevi.

Silvio Garattini

Fonte. Il gazzettino

Piacersi aiuta a guarire, il metodo "Look good, feel better"


VALENTINA GUZZARDO



Le donne lo imparano sin dall'adolescenza: un po' di trucco puo' fare la differenza. Copre le imperfezioni, valorizza i lineamenti, fa sentire più attraenti, più forti, più sicuri di sé. E non è solo una questione estetica. Lo sa bene l'associazione "La forza e il sorriso" che sotto il patrocinio di Unipro (l'Associazione Italiana delle Imprese Cosmetiche) ha provato ad utilizzare fondotinta, ombretto e rimmel come armi per combattere il cancro, un nemico particolarmente pericoloso per le donne perchè colpisce, statisticamente, soprattutto utero e seno, sintesi e cuore della femminilità.

Dopo 365 giorni di progetto pilota si può parlare di esperimento riuscito e la formula magica non è segreta. Sedute di make up gratuite a cui partecipano 6/8 donne guidate da consulenti di bellezza con consigli pratici per fronteggiare gli effetti collaterali della chemioterapia. La seduta è anche un modo per abbassare il livello di ansia e di tensione, grazie alla possibilità di condividere la propria esperienza con altre persone che vivono la stessa situazione. Il dialogo del gruppo è facilitato da esperti dell'Unità di Psiconcologia dello Ieo di Umberto Veronesi, guidata dalla dottoressa Florence Didier, che collabora al progetto. Le sedute di trucco aiutano le donne malate non solo a distrarsi ma anche a ritrovare la voglia di prendersi cura di sé, a riconquistare benessere e autostima, a ritrovare il sorriso e quindi la forza per riprendere il controllo della propria vita.

L'iniziativa nasce sulla scia dei più recenti studi medici, ricerche che hanno dimostrato come vi sia un legame molto stretto tra il modo in cui si vive la malattia e le possibilità di vincerla. Troppo spesso mentre si cura un tumore ci si focalizza soltanto sui medicinali, senza tenere conto del peso che ha per una persona, e soprattutto per una donna, i "cambiamenti" che la malattia infligge al proprio aspetto. Oltre alla diagnosi e alle chemioterapie ci sono tanti problemi pratici da affrontare, lo smagrimento, il pallore, la perdita dei capelli.

Abbiamo raccolto la testimonianza di pazienti, medici e psicologi. Unanime la convinzione: per guarire da una malattia bisogna prendersi cura di sè, in tutti i sensi.
Continua qui

Racconti di montagna


"Raccontare storie di montagna significa disporre la vita su un piano inclinato: più dura la salita,più veloce il respiro,rovinose le cadute. La montagna è un teatro estremo dell'esistenza,dunque luogo letterario ideale, attraversato da sempre dagli scrittori più grandi.
La lotta fra un uomo e un angelo, in "Un colpo d'ala"di Nabokov. La leggenda di Prometeo secondo Kafka. Un amore che finisce,o che si riaccende, sullo sfondo del monte Fuji. E poi sinuosi corpi femminili sulle piste da sci; i ghiacci artici e la scoperta della libertà; le storie di neve,guerra e giovinezza raccontate da Primo Levi e da Rigoni Stern.
Dall'ascesa al Monte Ventoso di Petrarca alla scalata di una montagna di vetro nel centro di New York, ventitrè racconti sulla solitudine,la sfida, il confronto con l'assoluto. Senza dimenticare la scoperta e la gioia di quando salendo "si crea il mondo"."

Il libro "Racconti di montagna" a cura di Davide Longo Einaudi ,è stata la mia lettura preferita di quest'estate ; ho potuto apprezzare Hemingway,Crichton,Levi,Calvino,Buzzati,Nabokov,Rigoni Stern, Chatwin,Kracauer, Berger,Maraini.....

venerdì 19 settembre 2008

Fiorella Mannoia

Nightwish

martedì 16 settembre 2008

La matita


C'era una volta la matita. Quella tradizionale aveva il cuore di grafite, che quando cadeva e si spezzava erano dolori. Quaderni imbrattati, mani sporche e giù a temperare. Ora tutto questo è passato. Sono arrivate le matite con l'Abs, l'Anti-Break-System, proprio come per le autovetture, o quasi. Si tratta di lapis che non si spezzano, perché protetti da una speciale guaina che rende la mina più resistente agli urti e alle forti pressioni, in seguito a rottura o caduta. Le ha brevettate la multinazionale di origine tedesca Staedtler, che adesso le mette in commercio per la gioia degli scolari. Sono robuste, con mine morbide dai colori intensi, piacevoli da utilizzare. La matita è tradizionalmente il più 'povero' tra gli strumenti di scrittura, ciò malgrado resta insostituibile e c'è chi, ancora oggi,preferisce scrivere a matita, piuttosto che a penna.

Il viaggio della vita


Che cosa c'è di più accattivante e al tempo stesso rischioso di un viaggio,specialmente se esso si trasforma nella ricerca di qualcosa che ci appare indistinto ma irrinunciabile? " Il viaggio di cui parlo in questo libro",afferma provocatoriamente l'Autore," non è un modo per conquistare la felicità,ma per comprendere che essa è già dentro di noi. Da sempre". Il fatto è che raramente sappiamo riconoscerla,forse perché cerchiamo una prova del nostro valore all'esterno di noi,ora nell'approvazione sociale,ora nell'affetto incondizionato delle persone che ci sono vicine. Durante il viaggio interiore proposto si apprenderà non a evitare le difficoltà,ma a dare loro un senso alla luce della componente spirituale dell'essere umano, ben sapendo che aspetti positivi e negativi della vita sono ugualmente un veicolo per conoscere verità più profonde su se stessi. Un modo nuovo di pensare in positivo. Il libro che bisognerebbe provare a leggere si intitola:
IL VIAGGIO DELLA VITA di Valerio Albisetti Paoline editoriale libri

lunedì 15 settembre 2008

In vacanza per ritrovare se stessi




Condividere una passione è bello. Condividerne due è fantastico. Ed è una benedizione della vita. Quando si amano in ugual misura cavalli e montagne, che cosa c'è di più entusiasmante di scoprire sentieri magnifici, tra boschi e prati e creste, proprio a cavallo, in fidata e allegra compagnia? Se poi si ha la fortuna di aprire un'ippovia sulle nostre splendide Dolomiti di Sesto, in alta Val Pusteria, l'emozione è immensa.

Finita la tempesta turistica estiva, la montagna torna ai suoi silenzi, alla sua musica lenta e confortante, fatta di gorgoglìo di torrenti, di vento leggero tra gli alberi, di ronzio affaccendato di api e farfalle sui prati, di richiami acuti di marmotte.


La montagna torna al suo tempo e alla sua quiete. Si assaporano meglio i suoi profumi struggenti, immersi nei colori morbidi di un settembre luminoso e pieno di sole, i suoi prati con branchi di cavalli liberi, che fanno risuonare corde antiche. Le placide mucche pezzate, che al tramonto si immergono in luci segantiniane. Orizzonti limpidi e cornici di montagne imperiose: le tre Cime di Lavaredo, la Croda Rossa, Cima Undici, Cima Tre Scarperi, tra le montagne più belle del mondo.

Ci si immerge nella storia: anche quella dura, difficile e dolorosa dei nostri alpini, ritrovando le vecchie trincee e le caserme della prima guerra mondiale, ad alta quota. Ripensando a migliaia di ragazzi, sfiniti a tirar su cannoni coi muli per sentieri impervi, fino a morire soli, uccisi da ferite senza rimedio né conforto, per un pezzo di terra e un ideale lontano. Ripensando a interi paesi come Sesto, svuotati e ridotti in macerie. Case antiche, frutto di fatiche centenarie, devastate per rappresaglia. Famiglie distrutte. Immense e straziate solitudini della nostra gente di montagna.

Ci si immerge nei pensieri, in silenzio, mentre si procede su sentieri stretti, in densa contemplazione, ascoltando il passo attento del cavallo. Ci si rilassa chiacchierando, trotterellando su strade bianche che salgono morbide tra i boschi. E ci si accende con un guizzo, al galoppo, su prati verdi, vellutati e scintillanti. E' bello stare in fondo, e osservare la morbida fila di cavalli e cavalieri, come nei tempi antichi, che si snoda e procede lenta e sicura e poi si allarga allegra sul prato, davanti alla malga amica. Nessun altro. Né auto, né moto. Solo bellezza. E la certezza di un patrimonio di emozioni, di natura e di cultura da riscoprire e da proteggere. Si può fare? Sì, se ci si impegna molto, perché tutto si svolga in piena sicurezza, per cavalli e cavalieri. Con l'aiuto degli eccellenti uomini del Corpo Forestale, con il lavoro di Sindaci determinati e attenti, come a Sesto e Dobbiaco, e di Associazioni di Amici del cavallo, quali la Sen. Tom's Adventure Riding Club, in collaborazione con la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE). Persone e sinergie, per riscoprire un modo antico di valorizzare le bellezze naturali d'Italia, insieme a quest'animale emozionante e magnifico. Un animale che merita rispetto, cure e attenzione, perché aggiunge qualcosa di essenziale alla bellezza del mondo. Il cavallo può aiutarci a stare meglio, a stare bene, perché fa risuonare corde millenarie. Perché ci pacifica, quando si procede al passo, finalmente senza fretta, in armonia, e il corpo si rilassa, e tutta la frenesia del quotidiano si scioglie, lasciando libera e gustosa la sensazione di sentirsi vivi. Fino a scoprire un modo sano e musicale di essere semplicemente felici, cavallo e cavaliere insieme, tra le nostre montagne.

Alessandra Graziottin

www.alessandragraziottin.it

domenica 14 settembre 2008

Il quarto ponte sul Canal Grande


Il primo ponte a Venezia dopo decenni


Progettato dall'architetto e ingegnere Santiago Calatrava (Valencia, 28 luglio 1951), il ponte occupa l'area a monte del famoso Ponte di Rialto, il primo ponte che unì il Canal Grande alla fine del XVI secolo, e del ponte degli Scalzi e dell'Accademia che risalgono ai primi anni '30.

Il ponte di Calatrava, commissionato dal Comune di Venezia a seguito di un bando di concorso nel novembre 1999, si trova in un punto strategico e collega la stazione ferroviaria (Stazione Santa Lucia) sul lato nord del Canal Grande con Piazzale Roma a sud. Il ponte è importante sia dal punto di vista funzionale che simbolico, perchè permette ai viaggiatori un collegamento diretto con la città offrendo loro il benvenuto con una visione panoramica del Canal Grande.

«I ponti di Venezia fanno molto di più che unire le parti della città», ha affermato Santiago Calatrava, «hanno la funzione di pietre miliari, punti d'incontro, punti di definizione in una struttura urbana che è unica. Questo è il compito che ho cercato di soddisfare sapendo che il Quarto Ponte sul Canal Grande deve essere un elemento razionale, bello e vitale per Venezia. Sono felice che ora la gente possa utilizzarlo come l'ho immaginato per tanto tempo».

Si è posta una particolare attenzione sull'integrazione del ponte con le banchine sulle due rive. I gradini e le rampe sono state disegnate per dare maggior vitalità ad entrambi i lati del canale mentre le spalle a forma di mezzaluna permettono ai pedoni di avere accesso alle banchine. Le aree ai due estremi costituiscono un prolungamento del ponte creando nuovi spazi celebrativi per Venezia. Sul lato a sud il progetto prevede anche un nuovo passaggio tra Piazzale Roma e le banchine di ormeggio dell'azienda ACTV di trasporto marittimo.

Il ponte è lungo 94 metri (partendo dagli scalini), con un'ampiezza centrale di 81 metri. La larghezza varia da 5.58 metri su entrambi i lati fino a 9.38 metri nella parte centrale del ponte. Il ponte si eleva da una altezza di 3.20 metri sulle sponde fino a 9.28 metri nella parte centrale. Gli elementi strutturali, interamente in acciaio, sono costituiti da un arco centrale di ampio raggio (180 m), due archi laterali e due archi inferiori. Gli archi sono connessi da travi costituite da tubi in acciaio e lamiere, che formano delle sezioni a cassone poste in modo radiale rispetto al raggio principale.

I gradini e l'impalcato del ponte sono costituiti da sezioni alternate di vetro infrangibile e pietra d'Istria, rifacendosi al disegno della pavimentazione esistente in vari ponti di Venezia. (Le spalle, in cemento armato, sono rivestite della stessa pietra). Il parapetto è interamente in vetro con un corrimano in bronzo smaltato, compresa la parte superiore. Di notte, le lampadine fluorescenti del corrimano illuminano la via, aumentando l'effetto teatrale grazie all'illuminazione proveniente dalla parte inferiore dell'impalcato trasparente. Le luci sulla parte inferiore delle pareti illuminano il suolo ai due lati del ponte.
Fonte://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/19500

mercoledì 10 settembre 2008

Droga,la repressione non basta di Silvio Garattini

Si attendeva con timore l'epidemia dell'influenza aviaria, è arrivata fra l'indifferenza generale l'epidemia delle droghe che includono anche l'alcool. I dati sono preoccupanti: a Milano ogni giorno si consumano secondo i dati dell'Istituto Mario Negri almeno 10.000 dosi di cocaina al giorno che aumentano del 50 per cento durante il fine settimana. Una persona su tre ha avuto contatti con la droga, oltre alla cocaina, anfetamine di varia struttura chimica, cannabis ed eroina.Le conseguenze sono evidenti a tutti: incidenti stradali, anche con la complicità dell'alcol, violenze, madri che si gettano con il figlio dalla finestra o dalla barca, solo per registrare alcune tragedie riportate con più evidenza dai mass-media.Cosa sta succedendo? È molto difficile fare analisi, ma la diffusione della droga a tutti i ceti e a tutte le classi d'età esclude che alla base si debba considerare solo uno stato di disagio psichico o una forma di malattia come da qualche parte si ipotizzava in passato. La epidemia sembra essere dovuta ad una forma di contagio che si propaga in parte perché è diventata una specie di moda incosciente, una forma di imitazione dovuta al così fan tutti che spesso trova riferimento nel mondo dell'arte, della canzone o dei personaggi idolo che rappresentano per i soggetti più fragili pericolosi punti di riferimento.Una società opulenta che ha risolto i principali problemi materiali della vita quotidiana sembra voler evitare la noia del benessere cercando nuove emozioni, nuove sensazioni, nuove trasgressioni. Una volta la trasgressione giovanile era rappresentata dal sesso che oggi è diventato meno attraente data la disponibilità dovuta ad una crescente offerta. Per molti la droga sembra essere diventata una necessità dovuta alla difficoltà ed alle insoddisfazioni della vita. Lo stress sempre invocato quando non si hanno altri termini, la fatica del lavoro che si prolunga oltre i normali orari, la necessità di resistere alle lunghe notti delle discoteche o delle feste sono spesso la meravigliata giustificazione che viene data alle richieste dei sondaggi. Tutto ciò è naturalmente facilitato dalla grande disponibilità di droghe, acquistabili a tutti gli angoli delle strade e ottenibili anche solo con un ordine telefonico. Il consumatore ed il venditore spesso si confondono nella stessa persona anche fra gente insospettabile. L'abbassamento dei prezzi alla portata di tutti è un altro elemento che facilità l'impiego e la diffusione delle droghe. I danni indotti da questi prodotti anche di quelli chiamati leggeri sono alla portata di tutti e diventa ormai quasi noioso e banale continuare a ripeterli. Sono danni alla salute, alla vita familiare, all'attività sociale che non sono percepiti come tali probabilmente per una completa mancanza di fiducia nei confronti delle fonti che cercano di dare informazioni. Di fronte a questi indiscutibili danni indotti dalla droga sembra che gli stessi antiproibizionisti abbiano perso forza nel sostenere proposte di liberalizzazione o di legalizzazione. Non si otterrebbe altro risultato che aumentare il numero dei consumatori con le evidenti conseguenze. Anche l'idea che in fondo questi sono comportamenti personali su cui la società e tanto meno lo Stato hanno il diritto di intervenire sembra perdere di peso.

Chi vorrebbe che molti degli automobilisti che stanno avanti o dietro alla propria vettura fossero dei drogati? Chi accetterebbe che il tassista, il macchinista o il pilota a cui si rivolge per essere trasportato, fosse dedito all'uso della droga o dell'alcool? E ancora chi avrebbe piacere di sapere che prima di un intervento chirurgico il medico per tenersi in forma ha dato una sniffata? Il drogarsi non può essere considerato un comportamento individuale perché ha forti ripercussioni sul benessere sociale. Le droghe danno dipendenza oltre che generare malattie cardiovascolari e mentali, per citare le maggiori, e ciò si traduce in un considerevole peso economico per il Servizio sanitario nazionale che deve spendere risorse per situazioni patologiche che sarebbero evitabili. Recentemente l'attenzione è stata attratta dal problema degli incidenti stradali con la proposta di esercitare adeguati controlli.Immediatamente sono scattati i soliti garantisti a sostenere che si tratta di una attentato alla libertà personale. Ci si dovrebbe sempre ricordare che la libertà individuale deve arrestarsi dove inizia la libertà degli altri. È giusto perciò eseguire controlli anche se non potranno essere generalizzati, ma legati a particolari situazioni scegliendo luoghi e orari più a rischio. Ciò comporterà certamente delle spese addizionali che dovranno essere sostenute da chi verrà ritrovato positivo a droghe o ad alcool attraverso multe esemplari che servano da deterrenti. È giusto che la società si difenda da questa nuova epidemia, anche se desta meraviglia la grande indifferenza di gran parte della popolazione, soprattutto della parte che ha un ruolo educativo. Genitori, insegnanti, medici, sacerdoti, sociologi, opinionisti anziché sollevare una riprovazione morale sembrano essere paralizzati, incapaci di reagire, quasi rassegnati alla diffusione dell'epidemia. Occorre ricordare che gli interventi repressivi sono necessari, ma non possono essere risolutori.È necessario ed urgente lavorare in senso preventivo non solo per sottolineare i danni, ma per sostituire la droga con i valori dello studio, dello sport, dell'arte, della solidarietà. Deve essere un impegno per tutti coloro che credono nei giovani come forza essenziale per il futuro della società.

Silvio Garattini

martedì 9 settembre 2008

L'Ottimismo


“Il nutrimento che rende più stimolante il cammino della vita”
Questo nutrimento rende decisamente la vita più piacevole e spesso aiuta a superare le difficoltà con un
modesto sforzo.
Ci riferiamo all’ottimismo, ovvero alla capacità di vedere l’aspetto positivo delle circostanze e dei fatti.
Il famoso aneddoto del bicchiere di vino che l’ottimista vede per metà pieno ed il pessimista per metà vuoto
rende effettivamente l’idea di come si possa valutare diversamente una stessa situazione.
Ci sono taluni che sono naturalmente ottimisti, portati cioè a cogliere l’aspetto migliore delle persone e di ciò
che accade.
Per altri è esattamente l’opposto: rilevano di continuo difetti e mancanze e vivono con un continuo senso di
insoddisfazione.
1 Voler essere ottimisti
se non siamo particolarmente portati per carattere all’ottimismo dobbiamo richiedere a noi stessi uno sforzo
per modificarci. Non è facilissimo: è necessario fare ogni volta una operazione di passaggio, mentale ed
emotiva, dall’impressione negativa alla positiva. Non automaticamente però, ma cercando di vedere davvero
in quello che succede l’aspetto migliore. Un buon esercizio è fare ogni sera un resoconto della giornata, in
prima analisi come cronaca di avvenimenti, e in un secondo tempo cercando di trarre da ogni incontro e da
ogni fatto avvenuto l’aspetto più positivo possibile: un piacere, un motivo di allegria. Per ottenere questo
risultato bisogna predisporre la mente e il cuore, cercando di abbandonare durezze e asprezze, aprendo
occhi speciali, capaci di vedere tesori nascosti che possono rendere più lieve la vita.
2 Trasmettere ottimismo
Non basta caricare con un sorriso il cuore, è importante quanto riusciamo a comunicare questo sorriso agli
altri, alle persone imbronciate, avvilite, che si lamentano sempre… Bisogna pur reagire! Questa forma di
esercizio aiuta a rivalutare molti aspetti che spesso si considerano negativi perché ispirati dai nostri
malumori e contribuisce a diffondere il nutrimento dell’ottimismo, che non dovrebbe proprio mancare nella
dieta dello spirito di ciascuno.

Rosanna Lambertucci

lunedì 8 settembre 2008

Per sopravvivere la scienza ha bisogno degli irregolari


Per salvare la diversità si deve competere su scala globale

T utti sono convinti che la globalizzazione aumenti la cultura, la conoscenza, la creatività, ma non è detto che sia vero, perché essa distrugge anche le culture, le tradizioni, le lingue, le letterature locali. Ancora nel secolo scorso in Italia c'erano scrittori, poeti e cantanti milanesi, genovesi, romani, napoletani amati e ammirati nel loro ambiente. E c'erano migliaia di laboratori artigianali, boutiques in cui trovavi degli stupendi prodotti originali. Oggi dovunque tu vada — a Milano, a Firenze, a Saint-Tropez, a Tokio, a Manila, a New York — trovi gli stessi stilisti, gli stessi vestiti, lo stesso gusto. Nelle librerie gli stessi libri, nei cinema gli stessi film, nelle le televisioni gli stessi format, e senti discutere le stesse idee. Certo, il mercato globale ha continuamente bisogno di novità, per cui devono esserci migliaia di inventori che fanno proposte, ma alla fine se ne affermano solo poche selezionate dalle grandi centrali. Le altre spariscono e spariscono i milioni di creatori che non hanno più un mercato locale. Avete notato che non ci sono più grandi pensatori? Perché sono stati sostituiti da cantanti rock, da conduttori di talk show e da guru internazionali. E cominciamo a sentire la carenza di scienziati originali. Perché anche nella scienza sono i centri di potere accademico internazionale che controllano i finanziamenti e le pubblicazioni e impongono le proprie proposte e le proprie idee emarginando gli scomodi, i devianti, quelli fuori dal coro. La scienza non è affatto obbiettiva e imparziale come il grande pubblico immagina. Ancor oggi le scoperte più originali vengono fatte da individui che devono lottare contro il conformismo accademico.
Per tener viva la diversità culturale e conservare accesa la creatività bisogna che ciascuno partecipi e competa nel sistema di comunicazione globale, ma nello stesso tempo ogni nazione, ogni popolo, ogni città deve conservare le sue radici, la sua lingua, la sua tradizione e farle fiorire. Non dobbiamo aver paura di essere diversi, di rifiutare il tipo di arte, di cinema, di libri, di spettacoli televisivi ammirati da tutti. Dobbiamo imparare a giudicare e a scegliere con la nostra testa, e sforzarci di realizzare solo cose che consideriamo veramente belle e di valore. Certo, agire così richiede uno sforzo individuale molto più grande, ma è l'unico modo per tenerci fuori dal gregge e poter dare anche noi un contributo utile.
www.corriere.it/alberoni

Bentornato signor Maestro , di Alessandra Graziottin



Scuola: al servizio di chi? Dei bambini, oppure delle ideologie, delle mode o dei bisogni degli adulti? Al centro delle discussioni di questi giorni sul maestro unico sta la preoccupazione per la riduzione dei posti di lavoro. Problema importante, certo, ma secondario rispetto al quesito fondamentale: qual è il modello di scuola migliore per un bambino delle elementari? O, meglio: quale modello soddisfa di più i bisogni emotivi fondamentali del bambino?

Il bambino dovrebbe essere al centro di queste considerazioni, che sono invece focalizzate sui bisogni di occupazione degli adulti.(Segue a pagina 19)Bisogni che potrebbero comunque essere costruttivamente affrontati in altro modo.

Partiamo allora dai piccoli: il primo bisogno emotivo di un bambino è l'attaccamento affettivo (attachment need). Vivere cioè una relazione d'amore primaria, intensa, continua e senza incertezze. E' un bisogno essenziale in tutti i mammiferi. Nella nostra specie è amplificato e prolungato nel tempo per la nostra complessità emotiva, affettiva e cognitiva. Il bambino ha bisogno di stare emotivamente e fisicamente attaccato alla mamma, di sentirne l'odore, il calore, il suono della voce, le carezze. Di sentirsi amato e accudito con sicurezza, con affettuosa attenzione, con sollecitudine, con dolcezza, con fermezza, anche. Di sentirsi coi fatti - amato, perché così maturerà due sentimenti essenziali per la vita: la capacità di amare e di sentire le emozioni e i bisogni affettivi degli altri, quell'empatia che è la base dell'intelligenza emotiva e dell'intelligenza sociale. Due strumenti che nutrono la felicità di vivere.Chi ha avuto la fortuna di sentirsi amato con costanza di presenza materna, amerà la vita, perché ne ha sentito l'amore visibile, fin dalla nascita. Solo quando il bisogno di attaccamento è appagato, grazie alla stabilità e alla costanza del contatto con la mamma, il bambino può progressivamente maturare gli altri bisogni fondamentali: di autonomia, di identità sessuale, di autostima e autorealizzazione. Tanto meglio se la mamma è affiancata da un padre presente e affettuoso, e da famiglie di origine con cui ci siano rapporti frequenti. Le radici che nutrono la forza della personalità, il coraggio di vivere, la fiducia in sé, l'autostima, si nutrono in questa terra straordinaria che è la certezza degli affetti. La transizione tra attaccamento e autonomia non è automatica, né precoce, anzi. L'autonomia è possibile solo se il bisogno di relazioni significative profonde è gratificato nell'arco dell'intera vita. Ecco perché la famiglia, anche allargata, purché stabile nel garantire sicurezza d'amore, è essenziale, almeno fino all'adolescenza, quando poi ci si apre ad altri affetti ed altri amori.

Il dramma contemporaneo dei nostri bambini nasce dalla frustrazione del loro bisogno di attaccamento, su fronti diversi. Famiglie mononucleari, che vivono distanti dalle famiglie di origine; separazioni precoci e divorzio dei genitori; distacco precocissimo dalla mamma, soprattutto quando lei lavora a tempo pieno e non ci sono altri familiari a seguire con costanza il piccolo, costretto a starsene al nido per otto ore al giorno, già a sei-nove mesi; frammentazione sostanziale del rapporto con i genitori, con tempi sempre più ridotti e concitati. La prova? Oggi la parola più usata dai nostri bambini non è più mamma, come è stato per secoli, ma casa. La tana, un oggetto, uno spazio, invece che una persona. Un problema che vediamo esasperato negli Stati Uniti, in cui la maggior parte delle mamme riprende il lavoro a tempo pieno già dal terzo mese dopo la nascita, con disastri emotivi e comportamentali nei bambini e negli adolescenti. L'accudimento, anche eccellente, all'asilo nido, dal punto di vista dei bisogni fisici, pasti, gioco e pulizia, può attenuare ma non cancellare gli effetti dello sradicamento precoce. Un bisogno frustrato si prolunga nel tempo. Ecco perché, oggi più di ieri, i bambini hanno bisogno di figure di riferimento stabili anche alle elementari: la Maestra, o il Maestro. Lo scrivo con la maiuscola, per il grande rispetto che ho per questa professione di vitale importanza per il futuro emotivo, oltre che culturale, dei nostri bambini. Il tourbillon di insegnanti che è ormai la regola nelle nostre scuole è un disastro per i piccoli: basti vedere il crollo culturale contemporaneo. Che non nasce solo dall'impoverimento didattico medio, ma dal fatto, più importante, che un bambino ansioso, inquieto, impaurito, insicuro, perché sradicato troppo presto, apprende poco e male. Ecco perché il mattino dovrebbe essere affidato ad un insegnante unico, solido, e con almeno dieci anni di esperienza. Il pomeriggio, visto che ormai ci si orienta verso il tempo pieno, potrebbe invece vedere la presenza di insegnanti diversi, per coltivare altri aspetti essenziali della salute emotiva e della cultura dei piccoli: lo sport, oggi così trascurato a scuola; la musica e il canto, tragicamente inesistenti; il teatro, formidabile strumento di educazione alla parola, all'espressività del corpo e delle sue emozioni, e alla crescita dell'anima poetica dei bimbi (ricorderò per sempre la mia straordinaria Suor Cristina, appassionata di teatro, che fin dalle materne ci faceva divertire come matti insegnandoci moltissimo); i giochi di gruppo, oltre naturalmente allo svolgimento di parte dei compiti. Una Maestra affidabile, appassionata del suo lavoro, consapevole di quanto futuro ci sia nel suo impegno quotidiano. Di quanto la sua voce, la sua cultura, la sua intuizione, la sua capacità di amare possano far sbocciare le potenzialità dei bambini che le sono affidati. Certo, esiste il rischio di persone inadeguate. Ecco perché questa figura dovrebbe essere accuratamente valutata, preparata, selezionata e premiata, anche economicamente. Onori e oneri. Con la chiarezza, tuttavia, che al centro della discussione ci deve essere il meglio per i nostri bambini, e non l'ideologia sindacale.

Alessandra Graziottin

Fonte: Il Gazzettino

La scuola della Gelmini:"Meno professori,ma stipendi più alti

Rimane alta la tensione sulla scuola alla vigilia dell'inizio delle lezioni in Lombardia, prima regione a far suonare oggi di nuovo la campanella. Il leader del Pd Walter Veltroni, il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani e il segretario del partito Socialista, Riccardo Nencini hanno attaccato nuovamente la «riforma» del maestro unico, nonostante le rassicurazioni del ministro Mariastella Gelmini sul tempo unico che, grazie alla riduzione del numero degli insegnanti, sarà «incrementato del 50\%».

Ministro che ha inviato un messaggio chiaro proprio ai sindacati e alla politica: per la scuola è «finita un'epoca», non è più un «ammortizzatore sociale», non può più essere uno stipendificio, ma deve diventare una leva per le prossime generazioni. Ragazzi a cui non può essere «rubato il futuro» come è accaduto ai giovani della generazione di Mariastella Gelmini.

L'argomento scuola ha trovato spazio anche nell'ambito del Wokshop Ambrosetti a Cernobbio, con un botta e risposta a distanza Gelmini-Epifani: il leader del sindacato ha detto di essere «preoccupato» e ha parlato di una «protesta molto estesa» delle famiglie, allarmate fra l'altro che non si garantisca la scuola fino alle 16,30.

«Mi dispiace la polemica - ha sottolineato il ministro -. Con il maestro unico il tempo pieno aumenterà, non ci sarà una diminuzione del servizio». Lo garantirà il fatto di avere più insegnanti a disposizione visto che «ci sarà un insegnante per classe, un insegnante per lezione». E comunque se a definire la qualità della scuola fossero i soldi spesi, il numero di insegnanti o le ore di lezioni la scuola italiana dovrebbe essere ai primi posti delle classifiche internazionali, cosa che non è: «Spendiamo più di altri, abbiamo più ore di lezione ma nelle classifiche della qualità siamo in fondo. È urgente la riforma e la riqualificazione della scuola». Infine ha detto che intenderà procedere con il confronto con i sindacati ma ha chiesto di finirla con i «veti incrociati» sulle riforme.

Sempre a Cernobbio, Veltroni ha detto di non credere che il «punto da toccare per primo fosse l'unica cosa che funziona bene: la scuola elementare». Secondo il leader del Pd, in tema di scuola occorre avere «un'idea complessiva di rilancio», il primo passo da compiere è quello di «motivare gli insegnanti e dare sicurezza ai ragazzi». Intanto i socialisti hanno annunciato una mobilitazione nazionale contro il maestro unico, a partire dal 15 settembre, primo giorno di scuola in gran parte delle regioni italiane.

Alla vigilia dell'inizio dell'anno scolastico, il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca ha spiegato la «filosofia» della sua «riforma»: «Per troppi anni logiche sindacali e governi compiacenti hanno ribaltato la missione della scuola», che «è fatta per gli studenti non per pagare una cifra spropositata di stipendi che sono pure da fame, così come gli ospedali non sono fatti per gli stipendi dei medici ma per i malati».

«È finita un'epoca: la scuola non sarà mai più un ammortizzatore sociale se lo mettano bene in testa tutti, sindacati compresi se non vogliono risultare impopolari nel paese... I dipendenti della scuola sono più di 1.300.000 e sono troppi. Io voglio una scuola con meno professori, più pagati e in cui viene riconosciuto il merito di tanti bravi che ogni giorno lavorano tra mille difficoltà. Il bilancio del ministero dell'Istruzione è utilizzato, infatti, per il 97\% per pagare stipendi», ha concluso Gelmini.

(Fonte : Il Gazzettino)

giovedì 4 settembre 2008

Immigrati,alcune scomode domande


Il problema costituito dagli extracomunitari è stato esaminato cento volte, da ogni punto di vista. Al loro ingresso in Italia e in Europa sono favorevoli non solo i progressisti, che lo considerano una inevitabile fatalità, ma anche molti industriali e impresari. Infatti servono operai per i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Altri però sono preoccupati per questa massa che invade il nostro continente, cui non si riesce a dare un ordine accettabile, e siamo pressoché impotenti a controllare.

Spesso non si conosce neppure il loro nome, nè il Paese di provenienza perché essi distruggono i loro documenti d'identità. Spesso non possiedono una preparazione adatta per esercitare al meglio un vero mestiere o una vera professione. Così fatalmente finiscono per lavorare in nero, al soldo di imprenditori disonesti, o per entrare nel mondo della droga e della prostituzione. Ma lasciamo stare, dato che di tutto questo si è parlato anche troppo, e senza risultati concreti. Invece si è parlato pochissimo, o quasi nulla, del loro numero, e delle conseguenze che esso avrà nel futuro, e già comincia ad avere nel presente.
In Italia gli extracomunitari si avvicinano ai quattro milioni. È una cifra che accende molti interrogativi. I sociologhi ci dicono che quando in uno Stato gli stranieri stanziali superano il 5\%, gli scoppi di manifestazioni xenofobe sono pressoché fatali. In Italia la soglia di pericolosità è stata superata da un bel po'. Dico questo non certo per scusare gli xenofobi; voglio solo ricordare che questo istinto esiste, sia tra gli uomini che tra gli animali che vivono in branchi. La cultura, l'etica, le leggi possono frenare e diminuire i fenomeni, ma non potranno mai farli sparire del tutto. Violenza, xenofobia, razzismo sono odiosi. Ma, al di là di ogni retorica e di ogni utopia, ogni persona equilibrata è consapevole che si tratta di un fatto naturale, difficile da sradicare.
Tanto più che la cultura in cui viviamo, anziché sforzarsi di diminuire la violenza, la mette ostinatamente in vetrina, la iperbolizza nei film e nei libri. Offre continuamente modelli negativi alle menti più deboli, meno capaci di difendersi dalle suggestioni negative. A questo punto è lecito domandarsi quanti extracomunitari dovremo ancora far entrare nel nostro Paese e nel nostro Continente.
In Europa sono già circa venti milioni. Certo sono poveri, sventurati, affamati e fanno molta pena. Spesso sono anche perseguitati politici nei loro Paesi. Ma poiché sia in Asia che in Africa vi sono molte guerre civili, i perseguitati politici sono milioni. Come è possibile ospitarli tutti quanti, in nome di una solidarietà politica? Se poi i ribelli riuscissero a conquistare il potere, i perseguitati diventerebbero subito quelli che oggi stanno al comando. Non c'è da farsi illusioni. Ma quando cesseranno questi fenomeni, visto che nel Terzo Mondo vivono tre miliardi di poveri? Gli extracomunitari solitamente hanno molti figli. Anni fa ho conosciuto uno studente universitario del Gabon che aveva ventitrè fratelli.
Non passerà un secolo che gli extracomunitari europei, soprattutto arabi e africani musulmani, saranno in Europa più numerosi dei bianchi. Ottenuta la cittadinanza di Paesi occidentali, formeranno i loro partiti, entreranno nel Parlamenti, faranno leggi ispirate alla loro cultura. Questa non è fantasociologia. Nel Kosovo, nel giro di novant'anni, da una maggioranza serba e grecortodossa si è passati a una albanese e maomettana. Questa prospettiva non è molto rassicurante. Gli extracomunitari andrebbero aiutati, per quanto è possibile, nei loro Paesi, fornendo tecnologie, creando scuole, ospedali, università. Dunque l'Europa dovrebbe subito cominciare ad adoperarsi perché l'immigrazione diminuisca e finisca per arrestarsi. Ognuno ha diritto di difendere la propria cultura e la propria libertà.
I Cristiani rischiano di diventare minoranze a casa loro, magari perseguitate, come oggi sono perseguitati nel Sudan, in Pakistan, a Giava e nelle altre isole della Sonda, in molti Stati africani. Da noi si parla tanto di tolleranza, di accoglienza, di culture diverse che debbono vivere in armonia. Questo è il sogno di tutti, ma per lo più è ancora, appunto, utopia e retorica, perché nei fatti le cose molto spesso vanno diversamente. Se esse continueranno a svolgersi come ora, le civiltà europee saranno irrimediabilmente deformate, e i problemi del Terzo Mondo non saranno risolti se non in minima parte. Dobbiamo porci questi problemi in modi realistici e non utopistici. Il problema dei milioni di immigrati ha altri versanti, territoriali e geografici, che vanno richiamati all'attenzione di tutti. Gli studiosi di geografia antropica e gli ecologisti dicono che l'Italia, Paese di dimensioni modeste (300.000 kmq), sarebbe sufficiente per circa trenta milioni di persone. Siamo già il doppio. Lo stesso problema hanno Paesi come l'Olanda, il Belgio, il Lussemburgo, la Germania, l'Inghilterra, la Danimarca. Se gli abitanti di un Paese stanno troppo stretti, nascono guai di ogni genere. Diventano violenti, le regole ecologiche vanno a farsi benedire.
Sono gli Stati di grande estensione, come la Russia, il Canada, gli Usa, l'Argentina, l'Australia, il Brasile che potrebbero ospitare molti extracomunitari senza problemi di natura territoriale. Che noi continuiamo a spalancare loro le braccia pur ospitandone già quasi quattro milioni, è uno dei tanti assurdi che affollano la storia. In Sudafrica sparano a chi viola i confini. Lo faceva anche la Russia, all'epoca del comunismo. È voce diffusa che l'abbia fatto pure la Spagna. Sono esempi che non lasciano tranquilli su ciò che potrebbe accadere in un avvenire non lontano.
Carlo Sgorlon ( Il Gazzettino del 3 settembre 2008 )

Un aiuto può salvare molti bambini innocenti da una morte per fame!


Ho letto un rapporto di un referente locale in Etiopia ,padre Abba Temesgen kebede,che scrive:" In Siraro Womda,dove sto operando, ogni giorno mi si spezza il cuore. In particolar modo alla vista di tanti bambini magri e malati, come se stessero per morire da un momento all'altro,è sempre terribile.
A centinaia non sopravvivranno un altro mese senza il nostro aiuto. Ogni giorno muoiono tanti bambini...."
E' incredibile che sui giornali non leggiamo niente di questa catastrofe. Centinaia di migliaia di persone del paese sono minacciate dalla morte di fame a causa della recente siccità. E per primi sono i bambini. Quante madri nelle ultime settimane hanno tenuto fra le loro braccia il loro bambino che stava per morire...
Un'ultima volta il grido per la fame
Un'ultima volta lo sguardo interrogativo del bambino
Un'ultima volta un affettuiso,consolante bacio
Un'ultima volta un abbraccio intimo
E poi la morte. Alle madri rimangono solo la disperazione e la paura.Anche i loro fratelli sono vicini alla morte. Ce la faranno a sopravvivere? L'aiuto arriverà in tempo?
(Fonte:Una lettera di richiesta d'aiuto da una Associazione Onlus)